Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica è concentrata sulla pandemia da coronavirus, l’Unione Europea negozia con Erdogan un nuovo accordo sull’«accoglienza» in Turchia – in realtà, il trattenimento – dei rifugiati siriani, iracheni e di altre provenienze. La contesa ancora aperta sul confine del fiume Evros e nelle acque di Lesbo sta arrivando alla sua logica conclusione: altri soldi alla Turchia, altro riconoscimento più o meno esplicito nei confronti di Erdogan, altro sospiro di sollievo per le cancellerie europee. Più incerte le altre contropartite, già promesse nel 2016 e finora non mantenute: libertà di accesso alla Ue per i cittadini turchi senza obbligo di visto, ripresa e accelerazione dei negoziati per l’ingresso di Ankara nella Ue. Anche se su quest’ultimo fronte il leader turco deve ancora spuntarla, la sua strategia ha pagato. Agitando il pericolo dei rifugiati alle porte, ha rinfocolato le paure dei leader europei e ha rapidamente conseguito gran parte dei suoi obiettivi: legittimazione e fondi.
Come ha lasciato trapelare, i telefoni delle capitali europee hanno ripreso a trillare. Le priorità e la strategia della Ue sono chiare: evitare, letteralmente a ogni costo, nuovi afflussi di persone in cerca di asilo. Per non abiurare troppo esplicitamente i valori umanitari e le convenzioni internazionali sottoscritte, l’Unione non da oggi persegue la politica dell’esternalizzazione delle proprie frontiere. Anche se con il sostegno offerto alle violenze delle autorità greche sul confine con la Turchia ha mostrato di non avere più molte remore neppure sul ricorso a metodi più brutali, preferisce delegare il “lavoro sporco” ai governi degli Stati confinanti e situati lungo le vie di transito: Niger e Libia ne sono altri esempi.
Questi governi a loro volta non hanno troppi scrupoli a maltrattare i cittadini di altri Paesi che cercano di attraversare il loro territorio. Si tratta dopotutto di cittadini di Stati oppressivi o falliti, che non sono in grado di tutelarli o neppure vogliono farlo. La Ue, con raffinata ipocrisia, mantiene così formalmente lo standard di una regione rispettosa dei diritti umani, disponibile a esaminare le richieste di asilo di chi riesce a giungere sul suo territorio, ma impedisce alle persone di arrivarci.
Per scongiurare nuovi successi dei partiti nazional–populisti, ne ha mutuato di fatto la visione del fenomeno (un’«invasione» alle frontiere) e gli obiettivi («chiudere le porte» all’accoglienza). Al confine greco, ne ha messo in pratica anche i metodi: respingimenti collettivi e ricorso alla forza. Meglio però, se possibile, mantenere le mani pulite e affidarsi agli Erdogan di turno, anche a costo di esporsi ai loro ricatti. In uno scenario così compromesso, alcuni passi in un direzione più giusta e sensata sono tuttavia possibili. Almeno tre. Il primo è obbligare la Turchia a impiegare i fondi concessi per un’effettiva tutela dei rifugiati.
Non è nota nessuna rendicontazione su come vengono impiegati i finanziamenti, e le autorità della Ue non esercitano nessun controllo al riguardo. I diritti dei siriani in Turchia, il loro accesso al mercato del lavoro e ai servizi, come la scuola per i minori, sono lasciati totalmente alla discrezionalità di Ankara. Il secondo intervento riguarda una delle promesse disattese del 2016: esame delle domande di asilo in Turchia, e accesso alla Ue per i rifugiati riconosciuti che lo richiedano. Si potranno anche contingentare, selezionare, distribuire e diluire, ma uno sbocco ai profughi va concesso. Magari cominciando con chi possiede titoli di studio e competenze spendibili. Una soluzione come quella dei “corridoi umanitari” opportunamente ampliati potrebbe contemplare un ruolo attivo delle società civili in questa prospettiva.
Il terzo intervento dovrebbe riguardare i minori non accompagnati, come richiesto dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli e da 200 donne con responsabilità politiche: almeno per loro si aprano le porte di un’accoglienza dignitosa sul suolo della Ue. Si può dunque trattare con Erdogan, ma c’è modo e modo di farlo. Si può aver paura di accogliere, ma non chiudere le porte a tutti. Si può essere ipocriti, ma tentare almeno di conservare un barlume di umanità.