Non è, e non deve essere, un superuomo, il prete, ma nemmeno una persona che si trascina dietro problemi esistenziali mai risolti. Deve essere semplicemente un uomo innamorato di Gesù, che trova la sua gioia nel servire i fratelli. Nella Chiesa cattolica di rito latino il prete deve rinunciare ad avere una sposa e dei figli con cui camminare insieme.
A qualcuno questa rinuncia appare disumana, e potrebbe esserlo, qualora fosse imposta e subita. Viceversa, si trasforma in libertà, se accolta come un dono. Nel campo della fede, però, le illusioni, con le conseguenti, amare, delusioni, sono all’ordine del giorno. Occorre un serio discernimento, da parte della Chiesa locale, per valutare le motivazioni profonde dei postulanti. Negli anni passati, la fame, le guerre, le famiglie numerose, sovente, spingevano un ragazzo a intraprendere la strada del seminario. Oggi non è più così. Le famiglie numerose sono solo un ricordo dei tempi andati, per far fronte alla povertà ci sono altre strade da imboccare, eppure accade di leggere certe notizie su alcuni preti che lasciano interdetti.
Ultima in ordine di tempo, a Prato. Don Francesco Spagnesi, viene messo agli arresti domiciliari per importazione e spaccio di droga. Sconcertante. Avvilente. Perché mai don Francesco scelse la via del sacerdozio? Era cosciente dei suoi limiti e dei suoi problemi o sono arrivati dopo? Fu fatto un buon discernimento prima della consacrazione? Fu seguito negli anni del suo ministero? Non oso immaginare lo stato d’animo dei fedeli, quelli saldamente ancorati alla fede, e, soprattutto, quelli che poco o niente frequentano le nostre assemblee. Inutile – e dannoso – fingere di non capire, una notizia del genere svilisce e adombra il lavoro serio di decine di confratelli.
Il bene, si sa, non fa rumore a differenza del baccano che ti combina il male. La diocesi di Prato, in una nota, tra l’altro, ha scritto che «nessuno avrebbe mai potuto immaginare che avesse problemi di tossicodipendenza». A tal punto che avrebbe usato le offerte – sacre! – per i poveri per fa fronte ai pagamenti. Ed è su questo aspetto che vorrei, con carità pari alla parresia, riflettere. I preti diocesani vivono da soli. Chi ha la fortuna di avere ancora i genitori può contare sul loro aiuto; chi, al contrario, ha già detto loro addio, deve organizzarsi la vita e non sempre è facile.
Ai nostri vescovi le difficoltà cui far fronte non mancano. Le esigenze del popolo aumentano, i preti diminuiscono; nel clero diocesano i vecchi superano di gran lunga i giovani, le forze vengono meno mentre si moltiplicano gli ambiti in cui occorre essere presenti.
Si aggiunga il complesso contesto odierno in cui si esercita la propria missione. No, vi assicuro, non è facile, oggi, essere prete, ma è incredibilmente bello e interessante. A certe condizioni, però, sulle quali non può soprassedere né il diretto interessato né la Chiesa locale. Prima condizione: chi bussa alla porta del seminario deve essere una persona profondamente onesta, fragile magari, ma onesta. Una persona amante della verità, che mai ricorrerebbe alla menzogna. Umile, cioè capace di chiedere aiuto nel momento del bisogno. Una persona cosciente di essere stata 'mandata'. La diocesi – non sempre, purtroppo, accade – deve essere in grado di esaminare attentamente il postulante, prepararlo, formarlo, ma anche deve avere il coraggio, nel momento in cui si accorge che la strada è un’altra, di invitarlo a desistere.
Occorre resistere alla tentazione delle facili vocazioni per 'bisogno di clero'. Ci sono chiese senza pastori? Con le lacrime agli occhi e la preghiera sulle labbra, si cerchino altre soluzioni. Chiudere gli occhi sui problemi non risolti di un aspirante prete oggi, vuol dire spalancarli sgomenti domani sugli scandali che provoca. Scandali il cui prezzo sarà pagato non solo dal diretto interessato e dal clero locale ma dalla Chiesa tutta. Il dramma immenso dei preti pedofili ha pesato e continuerà a pesare sulle persone coinvolte e sulla Chiesa più di quanto possiamo immaginare.
Mi sia consentito, però, di porre a me stesso e ai miei confratelli sparsi per l’Italia una domanda: com'è possibile che un prete, a capo di una comunità di fedeli, sia precipitato nell’abisso della tossicodipendenza e dello spaccio e non ce ne siamo accorti? Possiamo dire, attingendo alla più aspra e caritatevole parresia, che forse – e dico forse – lo abbiamo lasciato solo?