Piazza San Marco sott'acqua, nel picco di marea di martedì sera (Ansa / Twitter, Brugnaro)
Saremo ricordati, noi uomini e donne vissuti a cavallo tra XX e XXI secolo, come coloro che hanno distrutto Venezia. Spogliata di abitanti, trasformata in un parco giochi turistico e annientata dall’acqua alta. Dopo mezzo secolo, nonostante quel "Mai più" risuonato a gran voce nel 1966, l’acqua granda ha invaso di nuovo Venezia. E stavolta l’ha lasciata in ginocchio. Ci sono state persino due vittime, a Pellestrina. A smentire tutti quelli che in questi anni ripetevano il mantra che comunque l’acqua non è pericolosa, cala e cresce, poi basta ripulire tutto... Sì, come no?
Ammettiamo a questo punto di non essere stati in grado di preservarla. Diciamo soprattutto che si deve urgentemente aprire una strada: si consenta alla città di decidere la propria salvezza dando voce a quanto chiedono i veneziani coinvolgendo finalmente le amministrazioni locali. Una strada, questa, che i Governi che si sono succeduti in mezzo secolo non hanno concesso. E il risultato si vede. Lo Stato italiano ha erogato miliardi nella grande opera del Mose, senza preoccuparsi di nient’altro. Neppure di come venivano spesi per davvero tutti quei soldi. Se non viene creato un ponte di comando unitario, che ponga la città al centro, alziamo bandiera bianca. È una provocazione. Ma, al di là delle boutade, oggi a Venezia servono decisioni condivise con tempi certi. Con coraggio. Con venezianità.
Il Mose, per cominciare. Funzionerà o no? A chi dobbiamo chiedere i danni? Ci sono responsabilità precise per quanto è stato fatto e non fatto in questo tempo. Adesso è il momento di chiudere i conti.
Metterlo in funzione oppure riconoscere il fallimento. E trovare una soluzione alternativa. Rapida, possibilmente.
I canali e le grandi navi. Mai più scavi. Mai più passaggi devastanti. L’acqua che sale a velocità impressionante, molto più rapida del ’66 (martedì notte sembrava un fiume in piena) si spiega con le trasformazioni operate dall’uomo sulla laguna in questi anni. In primis lo scavo del Canale dei Petroli. Ma anche la perdita delle barene. E i fondali alle bocche di porto a misura di grande nave. Adesso è il tempo delle decisioni drastiche.
E poi, ancora: la legge speciale. Oggi è carta straccia, eppure conterrebbe tutti gli elementi utili per intervenire su Venezia. A chi spetta farla applicare? Se lo Stato è negligente, qualcuno da qui deve chiederne conto. Nel testo di quella legge si dice espressamente che lo Stato italiano «garantisce la salvaguardia dell’ambiente paesistico, storico, archeologico ed artistico della città di Venezia e della sua laguna, ne tutela l’equilibrio idraulico, ne preserva l’ambiente dall’inquinamento atmosferico e delle acque e ne assicura la vitalità socioeconomica nel quadro dello sviluppo generale e dell’assetto territoriale della Regione».
Basterebbe applicare alla lettera tutto questo per salvare Venezia. C’è ancora tempo per farlo? Forse sì. Ma va fatto subito. E da persone di buona volontà.
(Questo articolo è l’editoriale del settimanale diocesano Gente veneta")