Luca Salvi, Verona
Faccio mia, caro Salvi, la sua lucida indignazione di uomo e di medico. E penso che dovrebbe far riflettere sul serio chi a sinistra – cosa che addolora lei e interroga chiunque – e altrove non vuol proprio ragionare e, davanti alle realtà della vita imperfetta, s’entusiama per la via perfetta della morte a comando. È questa la vera necrofilia, lei conclude, e a me pare che sia davvero difficile non rendersene conto. Bisognerebbe, poi, riuscire a riflettere anche sull’incredibile mancanza di rispetto e di ascolto registratasi nei confronti dei protagonisti della "Giornata nazionale degli stati vegetativi" (e, infatti, noi ci riflettiamo a pagina 2, con Pino Ciociola). In troppi hanno badato soltanto a sovrastare – magari con argomenti polemici scadenti, scaduti e persino scandalosamente sbagliati – voci scomode e spesso silenziate per proclamare desolanti e ben poco scientifiche "verità rivelate". Non so se e quando questi autoproclamati "laici" e "progressisti" riusciranno a spiegare a tutti noi la loro fascinazione per la morte come autodistruttiva affermazione di libertà. Noi che crediamo che la morte sia un passaggio e non una risoluzione, noi che con Francesco d’Assisi abbiamo imparato a chiamarla «sorella», continuiamo semplicemente a dire che ogni vita ha una sua fine naturale e che nessun accanimento terapeutico è giusto, ma che nessun abbandono di chi è malato o disabile può essere sopportato e giustificato. E c’è dell’altro. Lo dico, laicamente, ogni volta che posso: la civiltà umana s’è iniziata davvero non solo quando l’uomo ha cominciato a rendere omaggio ai propri defunti, ma quando ha deciso che non si poteva "lasciare indietro", a morire di fame e di sete, chi non riusciva più a nutrire se stesso. Marco Tarquinio
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