Caro direttore,
vado al calendario per annotarmi l’ultima partita dell’Italia al mondiale in questo girone. Anch’io, solitamente piuttosto refrattaria al calcio, in queste occasioni mi trasformo in tifosa quasi ultrà. Dunque, Italia-Uruguay, ore 18 del 24 giugno 2014. Ho un tuffo la cuore. Le date nella storia delle persone e del mondo sono spesso anche pietre miliari di grandi avvenimenti, e questa lo è. Il 24 giugno 1981 è infatti cominciata una storia molto importante: in uno sconosciuto paesino balcanico – Medjugorje – sei ragazzi hanno detto di aver visto, e tuttora a distanza di 33 anni dicono di vedere, Maria, Madre di Dio e Madre nostra. La Chiesa continua a studiare e ad approfondire il mistero di quanto è accaduto e sta ancora accadendo, e a lei lasciamo il difficile compito delle posizioni ufficiali, certi che il suo lavoro è a salvaguardia della nostra fede, ma oggi vorrei raccontare cos’è stata l’esperienza mia e della mia famiglia a Medjugorje.
Nel 1981 avevo letto di questo straordinario avvenimento: si raccontava che la Madonna appariva ad un gruppo di ragazzi, il più piccolo dei quali aveva quasi 10 anni e la maggiore 17. Per molto tempo non ne sentii più parlare, finché nel 2006 un’amica mi regalò un libro molto bello, scritto con rigore storico, in cui passo per passo veniva ricostruito l’evento Medjugorje. Mio marito e io veniamo da famiglie religiose e, pur frequentando occasionalmente santuari, ci siamo sempre sentiti “a casa” in qualunque normale chiesa, perché lì abbiamo sempre sentito la presenza di nostro Signore. Eppure questi fatti ci interrogavano: cosa stava accadendo in questo lontano posto della Bosnia-Erzegovina? Veramente la Madonna appariva tutti i giorni o era solo un grande imbroglio? E se era vero, cosa ci voleva dire Dio? Forse che nel Vangelo non ci sono già tutte le basi della nostra fede?
Una sera, mentre stavamo preparando nostro figlio Daniele per metterlo a letto, chiacchierando di questi avvenimenti, ci dicemmo: “Dai, andiamo tutti e tre”. E così iniziò la nostra personale avventura a Medjugorje. È bene precisare che Daniele è gravemente disabile per un incidente e qualcuno potrebbe dire: “Ecco perché siete andati, in certe situazioni si è disposti a credere e ad affidarsi a qualunque cosa”, ma sarebbe semplicistico ridurre il tutto alla ricerca di un miracolo. Ognuno di noi, in questi anni, è certamente partito con nel cuore un desiderio, una richiesta di grazia o un miracolo per cui pregare, tuttavia quando si è là tutto questo viene ridimensionato per far posto a un unico grande desiderio di conversione.
Quando qualcuno mi chiede che cos’è Medjugorje, rispondo sempre che bisogna andarci per sentire, per respirare quanto lì sta succedendo. Spiegare è veramente difficile, e il rischio è di sembrare fanatici. Dico solo che la disponibilità dei testimoni a incontrare i pellegrini fa sì che ci si possa rendere conto della loro credibilità. Instancabilmente ci ricordano che la Madonna viene per condurci a Suo Figlio e che confessione, Messa, preghiera e digiuno sono i mezzi principali a nostra disposizione. A Medjugorje sono fiorite anche molte realtà che contribuiscono a rendere lode al Signore: i ragazzi di suor Elvira, ex tossicodipendenti, l’orfanotrofio di suor Cornelia, la comunità Nuovi Orizzonti... Esperienze che raccontano di come la vita può essere cambiata dalla preghiera.
Sono ormai nove anni che ogni primavera la nostra famiglia va a Medjugorje e, via via, si sono aggiunti tanti amici, anche giovani, che ci accompagnano. Alcuni sono venuti spinti dal desiderio di aiutarci con Daniele, altri da curiosità o amicizia, altri ancora sono schiacciati dalle sofferenze: tutti sono tornati con il cuore e la mente pieni di doni, e col rosario tra le mani. È allora che ti rendi conto che quel luogo continua a essere occasione di incontro col Mistero per una umanità stanca e dolente che cerca una promessa di compimento.
Giancarla Saglio Dominoni
Sono tra coloro che attendono con pazienza e fiducia la parola della Chiesa su Medjugorje, cara e gentile signora Giancarla. Ma ho imparato ad ascoltare con attenzione, rispetto e gioia il racconto di coloro che – come lei, come i suoi cari e come tanti altri suoi compagni di strada – si mettono in cammino carichi di domande e, non poche volte, di umanissime sofferenze e tornano «pieni di doni» e «col rosario tra le mani». Ho sperimentato sin da ragazzo che in ogni pellegrinaggio (ma vorrei dire in ogni vero viaggio) la meta è importante tanto quanto la strada e il modo in cui l’affrontiamo. E che Maria non ci attende mai soltanto in fondo al percorso che facciamo e rifacciamo, ma cammina con noi. Ce lo ripete – anche nel canto, anche nel saluto più tipico e augurale in certe zone del nostro Paese – l’antica saggezza della nostra gente: «Che la Madonna ci accompagni»...