Ma non tutto è «fallimento» educativo. Siamone certi
sabato 12 settembre 2020

Caro direttore,
ho apprezzato molto i servizi di “Avvenire” sulla drammatica vicenda di Willy Monteiro, e in particolare l’editoriale di prima pagina del professor Chiavario (10 settembre) che esamina due tipologie di reazioni: quelle di coloro che esaltano l’accaduto e quelle di chi vorrebbe «chiuderli a chiave e gettare le chiavi in mare». A queste reazioni, frequenti di fronte a delitti particolarmente efferati, se ne affianca spesso una terza, che proclama il “fallimento” delle agenzie educative: famiglia, scuola, chiesa, sport. Tutto ciò, però, mentre – sugli stessi media – leggiamo giustificati elogi per i tanti giovani che, specie in questo periodo pandemico – si sono spesi, in modo individuale od organizzato, a servizio dei più deboli. Eppure anche questi sono stati formati dalle stesse agenzie, che nel periodo del lockdown hanno dato il meglio di sé. Per evitare un senso di disorientamento, sarà bene quindi evidenziare che i fallimenti non sono di ordine generale, che negli stessi periodi molte scuole, pur talvolta ostacolate dalle scelte politiche che le riguardano, hanno formato giovani che ora apprezzano la relazione e il servizio. Ma soprattutto che siamo, sì, condizionati dal contesto in cui viviamo, ma rimaniamo sempre, almeno in parte, liberi nelle nostre scelte. Dunque moltiplichiamo pure il nostro impegno educativo, e quello per recuperare chi ha scelto il male, sosteniamo quelle agenzie, sapendo però che la libertà, anche quando ridotta, rimane.

Dario Santin volontario Accri Trieste

Ha ragione, gentile e caro amico. Non siamo precipitati in una notte in cui tutto è grigio e tutti si comportano alla stessa (sbagliata e addirittura fallimentare) maniera e in cui non v’è più traccia di una sana (e persino santa) dedizione alla costruzione di una società più umana e più giusta. La battaglia per il bene comune è aperta, ed è costellata di sconfitte e di vittorie. Ma le vittorie, anche se non fanno rumore, sono persino di più. Per questo «quelli e quelle che fanno la cosa giusta», e sono tanti, su “Avvenire” li portiamo spesso in prima pagina. Per questo, per quanto so e posso, sorveglio incessantemente i toni del giornale che dirigo ed evito di pubblicare analisi e commenti che finiscono per fare di tutta l’erba un fascio. Sì, caro Santin, ha ragione: siamo liberi. Liberi e impegnati. Liberi e mai rassegnati. Ed è una cosa faticosa e bella, esigente e promettente. Dobbiamo esserne consapevoli, e proprio quando l’assedio del male e dello sconforto si fa più stretto e la tentazione dell’egoismo e dell’indifferenza sembra diventare più forte. Grazie.

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