Il Giappone ha appena vinto la sua scommessa – quella di un’Olimpiade 'impossibile', svoltasi regolarmente nonostante i condizionamenti del Covid e l’assenza di pubblico – ma i giapponesi già si chiedono se ne sia valsa la pena. E mentre i presunti 'untori' lasciano un Paese che li ha accolti con rispetto ma senza grande entusiasmo, portando a casa chi un gruzzolo di medaglie tanto belle quanto inaspettate, chi rabbia e frustrazione, chi, semplicemente, una manciata di ricordi e sensazioni contrastanti, il governo dell’impassibile premier Yasuhide Suga, anziché registrare una impennata di consensi, come sarebbe lecito aspettarsi, rischia di cadere da un momento all’altro. «Solo con i soldi inizialmente stanziati per questi Giochi – scrive il quotidiano Mainichi – si sarebbero potuti costruire 300 ospedali e 1.200 scuole.
E come sappiamo, i costi sono almeno raddoppiati». Da 15 miliardi di dollari a 30, sostengono alcune fonti. Ma nessuno lo sa – o lo vuole dire – di preciso. «Quello che sappiamo – spiega Koichi Nakano, docente di scienze politiche presso la prestigiosa Sophia University di Tokyo – è che con tutto il rispetto per gli atleti e tutti gli addetti ai lavori, che in condizioni proibitive hanno portato a termine la loro missione, queste Olimpiadi non hanno fatto altro che aggravare la situazione della pandemia. A tutti i livelli. Gli ospedali sono pieni, o fanno finta di esserlo, la gente muore in casa, senza cure. Non mi stupirei che nei prossimi giorni il premier si dimettesse: anche se sarebbe, da parte sua , un ulteriore gesto di irresponsabilità ».
Secondo il Nikkei Index of Recovery, un indice che analizza la gestione della pandemia sotto vari aspetti, dall’andamento dei contagi alla campagna di vaccinazione e alla cosiddetta 'mobilità sociale' (presenza di regole che limitano i movimenti e loro applicazione) il Giappone è precipitato, nel giro di un mese, dalla 34ma all’83ma posizione (la Cina è saldamente in testa, da molti mesi, l’Italia rosicchia posizioni su posizioni, ora è settima). Il recente annuncio del premier Suga in base al quale gli ospedali non potranno più ricoverare i pazienti senza gravi sintomi (che non hanno cioè bisogno di ossigeno) ha provocato un’ondata di polemiche su tutti i media, e il governo è stato costretto a spiegare che in realtà ogni ospedale potrà decidere in piena autonomia i suoi criteri.
Ma in un Paese in cui l’assistenza medica domiciliare è praticamente inesistente e dove anche la più semplice iniezione deve essere per legge effettuata da personale specializzato (la vendita delle siringhe è vietata) il rischio che la situazione precipiti è molto serio. Tanto più che è ormai dimostrato che oltre il 60% dei contagi avvengono a livello domestico, non certo in ufficio e neanche nei locali pubblici, sempre meno disposti a rispettare le pur non cogenti disposizioni su orari di apertura e vendita di alcolici. Peccato. Peccato davvero perché il popolo giapponese, oramai esausto come tanti altri dopo quasi due anni di pandemia, avrebbe avuto il diritto di godersi le sue Olimpiadi in un contesto completamente diverso.
«Sono così felice che i nostri atleti si siano fatti tanto onore, e in particolare i giovani e le donne (delle 58 medaglie vinte dal Giappone, 30 sono state conquistate da atlete donne e tre da minorenni, n.d.r) – confessava in lacrime, la sera della cerimonia di chiusura, Mieko, una ragazzina che ogni giorno ha passato ore e ore davanti allo stadio, per respirare in qualche modo l’atmosfera delle Olimpiadi – e mi dispiace molto che il mondo non se ne sia praticamente accorto». Il terrore per i contagi e la sensazione di aver investito troppi fondi in opere non essenziali hanno scalzato dal podio i campioni. A vincere, alla fine, sono state la paura e la disillusione. Quanto di più triste per un evento come le Olimpiadi.