Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, per non divenire anche tu simile a lui. Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza, perché egli non si creda saggio
Proverbi 26
Travaglio è uno dei nomi del lavoro. Trabalho, travail, trabajo, dal latino trepalium, che era un giogo per animali. Una trave di legno sagomata, con funi e lacci. Ricordava il braccio orizzontale di una croce. Col tempo, il giogo è diventato simbolo di sottomissione di animali e di persone, di schiavitù. I popoli hanno conquistato libertà e giustizia spezzando gioghi di schiavitù, e si sono liberati di questi travagli e di queste tribolazioni. Nessuno ama essere soggiogato, messo da altri sotto un giogo. Solo il messaggio sovversivo e radicale di Gesù di Nazareth poteva usare l’immagine del giogo per esprimere il legame tra lui e i suoi discepoli: leggero e soave, ma sempre giogo. Forse, nell’usare questa immagine paradossale, l’evangelista aveva in mente, anche qui, Geremia: «Fu rivolta questa parola a Geremia da parte del Signore: "Così mi dice il Signore: Procùrati capestri e un giogo e mettili al collo"» (Geremia 27,1-2).
Geremia riceve un’altra parola incarnata, un verbo di YHWH che parla con la carne del profeta. Non si tratta di tecniche retoriche né, tantomeno, strumenti per scioccare e poi sedurre il pubblico. Sono parole di YHWH, come le altre, come la brocca, la cintura, i cesti di fichi, come il girare nudo di Isaia, il dormire su un fianco di Ezechiele. Baruk, il fedele cronista di Geremia, riporta anche la spiegazione di quel gesto («Ora consegno tutte quelle regioni in mano al mio servo Nabucodònosor, re di Babilonia... A lui, a suo figlio e al figlio di suo figlio saranno soggette tutte le nazioni»: 27,6-7), ma forse a quegli uomini antichi, avvezzi ai molti linguaggi non verbali, era già tutto chiarissimo quando videro arrivare il profeta soggiogato.
Erano venuti a Gerusalemme dei rappresentanti dei popoli vicini, per tentare una alleanza e muovere guerra ai babilonesi, sostenuti dalle illusioni nazionaliste dei loro «profeti, indovini, sognatori, maghi e stregoni, che vi dicono: "Non sarete soggetti al re di Babilonia!". Vi predicono menzogne» (27,9-10). Geremia continua la sua battaglia contro le illusioni prodotte dai professionisti della menzogna.
Il confronto-scontro con la falsa profezia, raggiunge un culmine nel capitolo successivo, che è anche uno dei vertici drammatici dell’intero libro, quando Geremia viene pubblicamente affrontato e sfidato da un altro profeta: Anania, un esponente dei profeti della salvezza e dell’ideologia nazionalistica del tempio: «Anania, figlio di Azzur, il profeta di Gàbaon, mi riferì nel tempio del Signore sotto gli occhi dei sacerdoti e di tutto il popolo: "Così dice YHWH, Dio d’Israele: Io romperò il giogo del re di Babilonia! Entro due anni farò ritornare in questo luogo tutti gli arredi del tempio (…) con tutti i deportati di Giuda che andarono a Babilonia, poiché romperò il giogo del re di Babilonia"» (28,1-4).
Dopo i molti attacchi a Geremia che abbiamo già incontrato, ora è un altro profeta ad affrontarlo, un "collega" operante come lui a Gerusalemme, probabilmente una figura di un certo rilievo tra i profeti della città. È Baruk, che narra l’episodio, a chiamarlo "profeta". Anania per il popolo è dunque un profeta come lo è Geremia, entrambi sono accreditati come profeti presso il popolo e i sacerdoti. Noi non sappiamo, all’inizio del racconto, se Anania è un profeta vero o falso. Certamente non lo sapevano i suoi contemporanei, e noi non lo dobbiamo sapere. Se vogliamo farci toccare nella carne da queste parole, dobbiamo scendere nell’agone con Geremia, vederlo lottare con Anania, e scoprire insieme a lui chi dei due e perché è il profeta vero.
Innanzitutto c’è qualcosa di non ovvio e importante: la struttura del discorso di Anania è identica a quella di Geremia. Anche lui inizia con la formula profetica "così dice il Signore", e chiama poi Dio con il nome dell’Alleanza (YHWH). Il contenuto, però, è l’opposto di quello di Geremia – nessuna sottomissione a Babilonia. Di fronte al popolo e al tempio i due profeti apparivano come due concorrenti vendenti lo stesso "prodotto", con una differenza decisiva: quello di Geremia aveva un prezzo altissimo, mentre quello di Anania era offerto gratis. I profeti veri sanno mantenere i prezzi alti, senza cedere nulla alla richiesta di sconti e di saldi da parte del popolo, perché il dumping profetico è la morte della profezia vera.
Il primo colpo di scena è la prima risposta di Geremia: «Il profeta Geremia disse: "Amen! Così faccia YHWH! Voglia YHWH realizzare le cose che hai profetizzato"» (28,6). La sua prima parola è "amen", che in questo contesto significa "magari fosse come dici tu". Geremia non ama la pace e la libertà meno di Anania e del popolo, ma non può dire illusioni per consolare. E quindi continua con un discorso complesso, che nasconde qualcosa di molto importante: «I profeti che furono prima di me e di te dai tempi antichissimi profetizzarono guerra, fame e peste contro molti paesi e regni potenti. Il profeta invece che profetizza la pace (shalom) sarà riconosciuto come profeta mandato veramente dal Signore soltanto quando la sua parola si realizzerà"» (28,7-9). Geremia chiama in causa l’antica tradizione profetica, coloro che "furono prima di me e te" (altro riconoscimento di Anania come profeta), e ricorda che quei profeti sono stati profeti di sventura, ed erano profeti veri. In qualche rara occasione i profeti hanno anche profetizzato salvezza, ma è stato l’avveramento storico della loro profezia che ha detto la verità della loro parola. Come a dire: è molto più facile che sia un vero profeta chi profetizza "guerra, fame e peste" che colui che profetizza benessere e pace. La profezia di sventura è più probabile che sia autentica, e lo possiamo affermare ex ante, prima degli eventi previsti. Quella di salvezza può essere validata solo ex post. Perché? La spiegazione si può trovare nella gratuità della profezia vera.
Quando un profeta annuncia sventure e dolore, soprattutto ai "regni potenti", non ne riceve che persecuzioni e sofferenze, perché, lo stiamo vedendo, i capi e il popolo non amano i profeti di sventura. Mentre quando un profeta prevede per il popolo quel benessere e quella pace che vuole, è molto probabile che questa profezia produrrà consenso, successo, potere e ricchezza, tentazioni sempre molto forti, a volte invincibili, in ogni tempo. Quindi è molto più plausibile che sia un vero profeta chi annuncia ciò che i capi del popolo non vogliono sentire. Un ragionamento di una forza sapienziale straordinaria. Non abbiamo garanzie certe che il profeta di sventura non sia falso (o pazzo) – su queste cose troppo grandi, la certezza non esiste. Non avendo incentivi per profetizzare, ma solo costi, è più probabile che la profezia di sventura sia autentica.
Il messaggio arrivò chiaro e forte ad Anania (e, probabilmente, anche al popolo che assisteva nel tempio). La reazione fu un altro colpo di scena, imprevedibile e impressionante: «Allora il profeta Anania strappò il giogo dal collo del profeta Geremia, lo spezzò e disse a tutto il popolo: "Così dice il Signore: A questo modo io romperò il giogo di Nabucodònosor, re di Babilonia, entro due anni, sul collo di tutte le nazioni"» (28,10-11). Un gesto violento e spettacolare, che dovette apparire come una clamorosa vittoria del duello e un segno chiarissimo per capire da quale parte fosse l’oracolo autentico.
A questo punto il testo ci mostra un Geremia confuso e indifeso. Era abituato alle persecuzioni e alle sconfitte. Questa volta, però, la difficoltà che incontra è di altra natura. Un altro profeta, in nome dello stesso suo Dio, arrogandosi la stessa autorità profetica, con un’azione uguale e contraria spezza il simbolo di Geremia, nega il contenuto della sua profezia e ne propone un’altra di segno opposto. Ma c’è qualcosa di più profondo da tenere in considerazione. Il lettore della Bibbia, e i contemporanei di Geremia, sapevano che Anania si ricollegava direttamente alla autentica tradizione dell’Alleanza. Nella Torah, nei salmi, troviamo molti riferimenti (Gen 27,40; Salmo 18) al giogo spezzato da YHWH per liberare il suo popolo dalla schiavitù: «Io sono YHWH, che vi ho fatto uscire dall’Egitto, che ho spezzato il vostro giogo» (LV 26,13). Ma Anania trovava un grande appoggio soprattutto in Isaia, che circa cento anni prima aveva ottenuto da Dio la miracolosa liberazione di Gerusalemme dagli assiri. Quindi la convinzione dell’inviolabilità del tempio e della città si fondava su un grande miracolo da parte di un grande profeta. Quella verità storica di ieri, più antica e quindi più autorevole, era però diventata ideologia, perché impediva di accogliere la parola di un altro profeta che in un momento storico diverso diceva una cosa vera e diversa. Si cade nell’ideologia ogni volta che la verità di ieri diventa eclisse della verità diversa di oggi, perché diventa idolo. Anania, magari in buona fede, stava traviando il suo popolo portandolo verso il massacro non in nome di un falso profeta né di dèi stranieri: lo stava facendo in nome della tradizione e di un miracolo vero di un vero profeta. Usava il passato per uccidere il futuro. Le ideologie, religiose e laiche, più potenti e infalsificabili non sono quelle infondate, ma quelle fondatissime su parole e fatti veri di ieri che ammutoliscono e accecano le parole e i fatti veri di oggi.
Geremia non risponde al gesto di Anania. Rimane muto. Spezzare e profanare il segno del profeta è l’oltraggio più grande. Il gesto è una parola-carne, e non esiste un altro gesto per rispondere alla sua distruzione: non si sostituisce una carne con un’altra, né un figlio con un altro. Se nella Bibbia le parole dette sono un "per sempre", il gesto profetico è il "per sempre del per sempre". Dopo un gesto profanato il profeta può solo tacere. Per dire nuove parole, occorre il dono di una nuova parola di Dio, e se e fino a quando non arriva il profeta resta muto e sconfitto: «Il profeta Geremia se ne andò per la sua strada» (28,11). È questa una forma stupenda di mitezza e di umiltà di cuore che nei profeti accompagna e nutre la loro straordinaria forza.
YHWH inviò una nuova parola, e Geremia rispose ad Anania: «Ascolta, Anania! Il Signore non ti ha mandato e tu induci questo popolo a confidare nella menzogna» (28,15). Anania morì entro l’anno, e dopo questo fugace passaggio scompare dalla Bibbia. Ma dal cuore del libro di Geremia, Anania ci ricorderà sempre il pericolo di tutte le ideologie della tradizione, che uccidono i profeti veri di oggi in nome di quelli veri di ieri.
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