Signor direttore,
l’associazione Antinoo Arcigay Napoli esprime tutta la sua amarezza e la sua delusione nel constatare che, in una circostanza gravissima come la morte di Maria Paola Gaglione, un punto di riferimento importante per la comunità del territorio, don Maurizio Patriciello abbia utilizzato le colonne del giornale da lei diretto per accusare l’Arcigay di Napoli di voler “strumentalizzare” la drammatica vicenda di Caivano, attraverso un comunicato stampa, quello diramato per denunciare il fatto di sangue, che – a detta del parroco – sarebbe inesatto sin dall’inizio. Le inesattezze a cui fa riferimento don Patriciello ci sono – è vero – e sono relative all’età della ragazza morta e al nome del fratello tratto in stato di fermo. Due errori formali, dettati dalla tensione del momento e dalla drammaticità del fatto che ha profondamente scosso l’animo della comunità Lgbt. Don Maurizio, probabilmente, ha cercato di rispondere al giudizio di riprovazione espresso dalla nostra associazione circa il commento che – stando a quello che ha riportato un canale Rai – il parroco avrebbe esternato a ridosso del fatto di sangue, dando credito all’idea che il fratello di Paola «non volesse uccidere la sorella ». Resta il fatto che non si capisce quale sarebbe la ragione per cui il nostro comunicato avrebbe avuto un intento strumentalizzante. Quale interesse personale avremmo perseguito nel denunciare la violenta storia di sangue che ha colpito una giovane coppia – Paola e il suo compagno transessuale Ciro – il cui amore è stato distrutto per il semplice fatto di non essere conforme a standard socio-culturali propri di un immaginario sessista, maschilista, misogino e patriarcale? Quale forma di manipolazione avremmo agito sui fatti in questione?
Ufficio Stampa Antinoo Arcigay Napoli
Strumentale, gentili colleghi dell’Ufficio Stampa di Antinoo Arcigay, è dichiarare espressione di una «cultura dell’intolleranza» la dolente, motivata e pacata chiarezza con la quale don Maurizio Patriciello ha invitato, spiegando lo stato d’animo del papà, della mamma e degli altri familiari della ragazza, a non dare subito per scontato il «movente omotransfobico» nell’incidente che ha causato la morte della giovanissima Paola Gaglione. Questo movente può anche esserci, tant’è che i magistrati dell’accusa, che hanno deciso di contestare l’omicidio preterintenzionale al fratello di Paola, hanno anche ipotizzato (promemoria utile in tempi di progettati interventi legislativi) la seria aggravante – i motivi abietti – che già oggi il diritto penale italiano prevede in simili casi. Ma a dirlo può essere solo il processo, non certo un comunicato diramato da un’associazione nella «tensione del momento ». Sia chiaro: il vostro diritto di denuncia e di critica è del tutto legittimo, così come naturale, e condiviso, è lo strazio per l’accaduto. Proprio per questo lo strazio non è occupabile o addirittura espropriabile da alcuno. Paola non è una bandiera, era una ragazzina appena maggiorenne che aveva deciso di andarsene di casa, interrompendo gli studi e rompendo con i suoi, per seguire il proprio cuore e stare con un’altra giovane donna che si sentiva e viveva da uomo. Come don Maurizio, uomo di Dio, della speranza e della carità, m’inchino anch’io con rispetto e comprensione davanti al dolore di Cira-Ciro, che ha amato Paola e da lei è stata riamata. Ma penso che proprio tutti debbano inchinarsi senza precipitare giudizi davanti all’immensa sofferenza della famiglia della ragazza: non c’è nulla di più atroce, per chi resta, di una morte senza riconciliazione. Maturata per di più nella irriflessiva e aspra concitazione di un veemente “inseguimento” del fratello alla sorella. Credo che questo sia lo schianto terribile che continua nella testa e nel cuore di Michele Gaglione. Le sentenze dei giudici potranno infine essere pesanti, ma mai più pesanti della realtà dei fatti nuda e cruda. E le parole del dibattito pubblico potranno diventare anche più aspre (speriamo di no), ma mai più taglienti di quelle che si sono incise nella memoria, nell’anima e nella carne di Paola e di tutti – tutti! – i suoi cari. Aspettiamo la giustizia umana. E, poi, rispettiamola per quel po’ o quel tanto di vero e di giusto che saprà dire. Ma nessuno di noi dimentichi che ci vorrà molta pazienza, tanta misericordia e nessuna presunzione per risanare le ferite che restano aperte.