Caro direttore,
condivido il senso del suo editoriale di sabato 12 agosto («I buoni “emendamenti” al Codice Ong. L’incontro possibile»). L’addendum che ha modificato il codice di comportamento delle Ong impegnate in missioni umanitarie nel Mediterraneo comporta due novità fondamentali. La prima, prevedendo l’obbligo di personale di polizia a bordo delle navi solo su mandato dell’autorità giudiziaria, rispetta la natura “terza” verso i Governi tipica delle Ong. La seconda, consentendo il trasbordo dei profughi ad altre navi, sana un conflitto evidente con il buon senso e con le regole internazionali.
Maturati anche su forte spinta di molte espressioni ecclesiali, sociali e politiche del mondo cattolico, questi sembrano passi importanti del Governo italiano; segnali non secondari verso il mondo straordinario e vitale delle Ong e – indirettamente – verso quel vasto e insostituibile tessuto di volontariato che opera ogni giorno per dare risposta ai drammi del nostro tempo. Verrebbe da chiedersi che cosa resti di veramente nuovo ed essenziale, a questo punto, del Codice. Ma non è questo il punto. Occorre piuttosto interrogarsi sulla grande complessità e la straordinaria drammaticità della situazione. Che resta tutta intera e che interroga anche il nostro Paese – assieme all’Europa e alla comunità internazionale – sugli aspetti strategici della nostra posizione rispetto alla crisi umanitaria in atto.
L’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati stima in 250mila i profughi in movimento solo in Africa. Vengono da Guinea, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Senegal. Conosciamo le condizioni inumane alle quali queste persone sono soggette e da più parti si sono denunciate violazioni tremende dei più elementari diritti umani.
A fronte di questo, sento in questi giorni cittadini rallegrarsi per la diminuzione degli approdi sulle nostre coste. Comprensibile: l’Italia non può fare tutto e da sola.
Ma possiamo considerare consolidato questo elemento e, soprattutto, possiamo rallegrarcene senza nessuna altra valutazione? Che fine fanno queste persone respinte dalla Guardia Costiera libica con il nostro supporto logistico? Che destino incontrano quelli che sono in movimento da Sud verso il Mediterraneo?
La strategia del respingimento affidato ai libici, fin che regge, è una alternativa “più politicamente corretta” del blocco navale caro alla destra? Oppure si tratta di una fase, magari discutibile, ma funzionale a una strategia definita e chiara di risoluzione complessiva della situazione nell’area?
A noi, allora giovani cattolici democratici con l’aspirazione all’impegno politico, i Vescovi hanno sempre insegnato che la nostra responsabilità non può fermarsi ai confini locali o nazionali e che i “valori” (quelli della vita, della dignità e della libertà della persona e delle comunità) non possono essere sospesi, oggi si direbbe “messi in standby”, neppure per una valida ragion di Stato. Almeno così siamo stati abituati a pensare, a operare e a vivere. E peraltro più volte papa Francesco ci ha colpiti con le sue parole nette e senza sconti. Umanissime ed evangelicamente roventi. Del resto, parafrasando Bernanos, se la temperatura dei Pastori si dovesse intiepidire, quella della politica rischierebbe di diventare gelida.
Ecco perché, da politico cattolico, che pure avverte l’aria che tira nel Paese e responsabilmente non si nasconde i problemi e i doveri della ragion di Stato, non posso che auspicare che continui da parte della Chiesa a tutti i livelli una azione di profezia; difficile e delicata, certo, ma essenziale. Altrimenti anche chi, nella società e nelle istituzioni, ancora resiste al vento della chiusura e dell’egoismo si ritroverebbe più solo e smarrito.
Lorenzo Dellai, Deputato e presidente di Democrazia Solidale
Grazie, caro presidente Dellai. È davvero necessario dire che i passi verso le giuste ragioni delle Ong compiuti dal nostro Governo sono stati importanti. Ed è altrettanto necessario che nessuno dei politici cristianamente impegnati per umanizzare la politica, e tutti coloro che con altre sensibilità condividono questa “buona fatica”, debba sentirsi solo e arrivi a pensare che la sua parola e azione siano state inutili o mal considerate proprio nella Chiesa. E a quel che so – e almeno un po’ credo di saperne – l’incoraggiamento e la gratitudine dei Pastori per ognuna di queste concrete testimonianze sono caldi e profondi.
Mentre tanti fratelli e sorelle in umanità, dalle pelli di altro colore e anche di diverse culture e fedi, ma spesso pregando Dio e la Madonna proprio come noi li preghiamo, attraversano con sofferenza e rischio terre d’Africa e d’Asia e infine il Mediterraneo, noi tutti su questa sponda nord del nostro mare ci ritroviamo ad attraversare un tempo difficile ed esigente. Un tempo di smarrimenti e inquietudini, di diffidenze e incattivimenti, di sospetto per lo straniero e di sfiducia per chi ci rappresenta e governa, sentimenti aspri, da capire e “medicare” di buon governo e buona informazione, e invece alimentati in dose d’urto da superficialità e malizie politiche e informative, e persino da gravi mistificazioni. Un tempo nel quale, però, la saldezza della parola disarmata della Chiesa – generata dalla Parola che è Cristo – continua ad “armare” responsabilità e generosità che possono e debbono dare cuore e anima anche alle regole degli Stati. Che devono essere rispettate perché rispettabili e non motivatamente obiettabili, e quando non lo sono del tutto meritano correzioni come quelle che il Ministero dell’Interno italiano ha apportato al Codice di condotta per le Ong.
È un compito che non viene e non verrà mai meno per un politico davvero responsabile e tanto più per un politico cattolico. Così come non viene né verrà meno il dovere di misurarsi con le difficoltà del tempo e di stare tra la gente, spiegando e dando coraggio, facendo capire dove sta il male certo, dove il bene possibile, dove l’umanità che incontra e dà senso a ogni legalità. Nella democratica Italia, grazie anche alla lunga dedizione di tanti politici cattolici, questo non è solo un modo di dire.
Infine, le dico che le domande che lei si fa sulla sorte delle persone migranti che non vediamo più, e magari tanti non vogliono proprio vedere, sono anche le mie. E le risposte che purtroppo intravvedo (violenze, stupri, ritorni a vecchi traffici, morti...) già mi feriscono da cittadino italiano ed europeo, da cronista e da cristiano. Prego Dio di non dover piangere e raccontare nuovi terribili tragedie.