Rassicura, e non poco, l’efficienza investigativa che ha portato a identificare il terzetto dell’odioso sfregio alla dignità di Daisy a Moncalieri. Lo sfondo che presenta l’episodio è però ancora più inquietante, se possibile. A chi abbia un po’ di cultura storica. Considerare “banale” che tre giovani annoiati e inetti vadano a mo’ di ronda a bersagliare qualche passante, possibilmente anziano, debole o dalla pelle scura, e procedano con non chalance ed esaltandosi, non è certo da “adulti”. Davvero si può tirare un sospiro di sollievo? Solo chi ha letto tutto in chiave di polemica strumentale – da una parte e ovviamente dall’altra – può cavarsela così. Sbagliandosi, e di grosso.
In quei tre, in quel lancio di uova, c’è stato compiacimento, e risonanza nella psiche, per il dispregio dell’altro, del debole, del diverso: con cattiveria che da troppo tempo e da troppe parti si continua a esaltare. Anche indirettamente: con l’uso di parole e frasi sbrigative, gaglioffe. Esibendo il “me ne frego” davanti allo sconcerto che nelle persone sensate provoca l’impiego, “senza orrore di sé” direbbe Petrolini, di modi bruschi, di turpiloquio, del volto compiaciuto. Tutt’altro che il “Chi non sa far stupir vada alla striglia”, del poeta seicentesco Giovan Battista Marino. Non vi era “movente politico” nella violenza sadica del lancio di uova? E cosa cambia, nel giudizio? Quell’atto assurge il valore di modello replicabile, una perversa assonanza con il clima che si diffonde, con quel perverso “senso comune” che ottunde l’allarme, la responsabilità, la coscienza civile. Altro che “consolazione”, perciò. Direi invece un richiamo in più a cambiare completamente i toni del parlare in pubblico, dai talk show alle battute estemporanee con davanti un microfono. Non è necessario consultare un set di discipline psicosociali per comprendere che quei modi “pubblici” subiscono la traslazione nel “privato”, anche nelle occasioni conviviali. A tavola non si conversa, ma si disputa profferendo parole brutte e cattive. Figuriamoci nel ritrovarsi di giovanotti annoiati, che decidono di ammazzare l’indolenza con una “ronda”, chessò, per dileggiare prostitute, per orinare su un senzatetto, per insultare donne per strada, per lanciare uova contro una ragazza dalla pelle nera. “Arancia meccanica” è stato un capolavoro della storia del cinema. E un compendio dell’opera di studiosi quali Skinner e Zimbardo sul veloce diffondersi del consumo della violenza contro i deboli. Sbaglia e di grosso chi non s’inquieta e vorrebbe quietarci tutti per il ritorno di attualità di questa vergogna.