Gentile direttore,
grazie ad 'Avvenire' in Italia non si sta spegnendo completamente il faro su ciò che accade al confine tra Polonia e Bielorussia. In questi mesi il suo giornale è stato tra i pochi che hanno segnalato i 21 morti certi tra i migranti bloccati alla frontiera e ha sostenuto e rilanciato con la campagna 'Diamo luce alla solidarietà' l’iniziativa dei cittadini polacchi che non si arrendono alla disumanità del loro governo e accendono Lanterne Verdi per segnalare le case dove un profugo in difficoltà può trovare accoglienza e non respingimento. Siamo preda dei nostri vizi consueti: il provincialismo. Se le crisi migratoria riguarda l’area mediterranea, allora prestiamo un’attenzione spasmodica.
Mentre non è così quando le crisi migratorie avvengono sulle frontiere est o nord del nostro continente. In Europa invece se ne parla molto. Anche tra le organizzazioni della società civile. Il Comitato Economico Sociale Europeo – pur con alcune resistenze di membri polacchi legati più al mondo delle imprese – si sta muovendo, con diversi audit e ora probabilmente con una missione in loco. Le informazioni arrivano costanti e copiose. Il dibattito è intenso e teso.
Pochi sono a conoscenza del fatto che questa crisi riguarda anche la confinante Lituania, Paese in cui stanno trovando asilo migliaia di oppositori bielorussi al dittatore Lukashenko. Questi ultimi trovano facile accoglienza, quelli provenienti dal Medio Oriente o dall’Africa, invece, vengono ammassati per mesi in campi ge- stiti dalla Croce Rossa, in attesa di un più che probabile diniego. Ma almeno una forma di accoglienza seppur minima, esiste. Anche se i respingimenti – illegali – sono più del 50%. In questa crisi migratoria c’è una novità e non è il ricatto operato dal dittatore bielorusso.
La questione migratoria, infatti, è uno strumento utilizzato abitualmente e biecamente per fare politica estera, talvolta da 'democrature' (come quella di Erdogan), talvolta da Stati in evoluzione democratica (come il Marocco), talvolta da Stati instabili e preda di una guerra per bande (come la Libia). La primogenitura in epoca contemporanea è castrista, nel 1976, con i balseros, profughi cubani lasciati liberi di scappare negli Usa svuotando anche carceri e manicomi. I 'bersagli' sono sempre Paesi confinanti, democratici e con settori di opinione pubblica attenti alla dignità della vita umana.
Non è questa quindi la novità. E non lo sono nemmeno i decessi alle frontiere Ue. Costa dirlo, ma dopo la tragedia di Alan, il bambino curdo morto sulle spiagge turche nel 2015, il susseguirsi di immagini analoghe non ha provocato altrettanto sdegno. L’umanità non è morta solo nelle istituzioni...
La novità è che esiste una terza categoria di migranti che il governo polacco sta tentando di introdurre nel dibattito europeo. Finora si tendeva a distinguere tra profughi, da un lato, e migranti economici, dall’altro (come se questi ultimi non dovessero godere dei diritti fondamentali, come qualunque altro essere umano). Ma la terza categoria è un vero obbrobrio: comprenderebbe persone che poiché sono 'usate' da un dittatore bisognerebbe considerare 'armi'. Secondo il governo polacco impedire costi quel che costi l’ingresso a costoro equivarrebbe, da un lato, a non cedere a un ricatto e, dall’altro, a introdurre una battaglia ancora più radicale di quella dell’ungherese Orbán sul tema delle migrazioni. Non più la difesa della distinzione tra rifugiati (da vagliare) e migranti economici (da respingere), ma l’attribuzione di un ulteriore stigma a persone che per la loro condizione dovrebbero semplicemente ottenere asilo o, comunque, un permesso umanitario.
È così che si finisce per lasciare morire una donna incinta e il suo bambino: la donna avrebbe accettato di ridursi ad 'arma umana'. Una logica oscena. Siamo di fronte a una vera e propria escalation per contrastare il tentativo di innovare le politiche europee verso rifugiati e migranti. Non si tratta, quindi, di politica estera verso il dittatore bielorusso, ma di politica interna alla Ue. I populisti più estremi del quadro politico europeo stanno cercando di radicalizzare il dibattito, soprattutto contro coloro che per ispirazione riformista o popolare hanno i diritti umani come punto di riferimento.
D’altro canto, il premier sloveno Jansa, presidente di turno dell’Unione, l’aveva annunciato che la Ue non avrebbe accolto altri profughi afghani dopo il ritiro delle forze occidentali da Kabul. Purtroppo, quest’orientamento trova adesioni anche in membri della società civile organizzata polacca e di altri Stati, in particolare (ma non solo) dell’Est europeo. Per fortuna nella stessa società polacca grandissima parte delle organizzazioni non governative, come il Forum polacco per le migrazioni, hanno organizzato la rete di accoglienza delle Lanterne Verdi e interloquiscono in maniera forte col governo e cercano e trovano sponde nella Chiesa. La speranza sono sempre i cittadini con una coscienza critica che si attivano.
Vicepresidente Gr3 Diversity Europe CESE