Le migrazioni sono fenomeni complessi e hanno diverse cause, ma il governo italiano sembra soggetto a una coazione a ripetere che lo spinge in tre direzioni: allarmare, semplificare, trovare dei responsabili da incolpare. In primo luogo, l’allarmismo.
È vero, sono aumentati gli arrivi dal mare in questo primo scorcio dell’anno. Hanno superato quota 20mila, contro circa 6mila nello stesso periodo nei due anni precedenti. Va subito aggiunto: nonostante il decreto anti-Ong, che nella campagna precedente erano additate come «taxi del mare», «vice-scafisti» e via diffamando, che ha fatto quasi scomparire le navi umanitarie (e le ha costrette a sobbarcarsi operazioni più lunghe e costose), gli sbarchi sono più che triplicati. Parlare però di aumento esponenziale, oltre che un insulto alla matematica, dipende come sempre dal fatto che quei profughi in arrivo dal Sud del mondo non piacciono al governo, a non pochi media e una fetta di popolazione italiana. Basti pensare che nella primavera scorsa abbiamo accolto 170mila profughi ucraini (e la Germania un milione) senza lanciare grida di allarme, ma con encomiabile solidarietà.
Anche nel nostro Paese, poi, si comincia a ragionare di come far entrare nuovi lavoratori dall’estero, ma non si riesce ancora a immaginare che quelli che arrivano fuggendo, se hanno diritto all’asilo, opportunamente accolti e formati o valorizzati nelle competenze che già hanno potranno contribuire a risolvere la carenza di manodopera.
Sempre l’allarmismo guida la diffusione di notizie riguardanti una cifra di 685mila persone “in arrivo dalla Libia”: l’ennesima di una serie, perché lanci di questo genere sono avvenuti a più riprese nel corso degli anni. 685mila è una stima (friabile, non si sa neppure come sia costruita) dei profughi e dei migranti presenti in Libia, ma è ancora più problematico prevedere quanti vogliano partire verso l’Europa e come possano trovare i mezzi per farlo.
Qui scatta la semplificazione: i profughi arrivano perché qualcuno li spinge a partire, e partono senza pensare ai rischi perché dei mafiosi decidono chi può venire da noi, come ha detto la premier Meloni. Con un corollario pseudo-solidale quello che porta a sostenere che «chi arriva si trovi a fare la manovalanza della criminalità organizzata o diventi vittima della prostituzione». Meloni, in questa stessa chiave, ha anche parlato di «schiavitù del terzo millennio»: ma gli schiavisti tenevano soggiogate a vita le persone che cadevano nelle loro mani, mentre ora i trafficanti vendono, a caro prezzo e ad alto rischio, un servizio di trasporto che a queste persone in fuga non è permesso di acquistare sul mercato legale. Non entrano nell’analisi altri fatti difficilmente contestabili, a cominciare dal fatto che la maggioranza delle vittime di Cutro provenisse dall’Afghanistan, che l’Africa sia sconvolta da decine di conflitti a vari gradi d’intensità, che molti rifugiati giunti negli scorsi anni si stiano inserendo nel lavoro regolare. Non trova spazio che le migrazioni e le stesse partenze a rischio dei profughi abbiano cause svariate e complesse, spesso terribili. Quanto alla negazione del diritto a migrare, la premier con questo linguaggio annuncia in realtà il diniego del diritto di asilo, in quanto strettamente legato alla possibilità di mettere piede in un Paese sicuro.
Ecco allora l’individuare “colpevoli”: dopo le Ong e gli scafisti, i mercenari della brigata Wagner. Difficilmente difendibili e tutt’altro che indifesi da ogni punto di vista, questi ultimi, ma le nazionalità dei profughi fin qui sbarcati non coincidono con il teatro delle operazioni della famigerata organizzazione paramilitare russa: i profughi arrivano da Costa d’Avorio (3.002 al 15 marzo), Guinea (2.806), Pakistan (1.541), Bangladesh (1.506), Tunisia (1.421). I mercenari russi operano invece in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana.
Nemmeno la presenza di mercenari russi in Libia spiega molto, perché più della metà dei 20mila sbarcati provengono dalla Tunisia, e sono aumentati pure gli arrivi dalla Turchia, come ci ha insegnato la tragedia di Cutro. Anche in Libia, Wagner è installata in Cirenaica a sostegno del generale Haftar, non controlla altri luoghi d’imbarco. In realtà, dietro alle partenze ci sono spinte diverse e intrecciate, come la campagna xenofoba del presidente tunisino Saied, la profonda crisi economica di quel Paese e il deterioramento dell’unica democrazia sopravvissuta al riflusso delle primavere arabe. Quanto all’Africa sub-sahariana, i conflitti, l’espansione jihadista, le repressioni e le dittature sono più la regola che l’eccezione: sono problemi più antichi e profondi dell’eventuale e indimostrato dispiegamento russo. Il Pakistan, a sua volta, è attraversato da una profonda crisi politica ed economica.
L’individuazione dei russi come “responsabili” ha un obiettivo politico: coinvolgere l’Europa e persino la Nato in un’operazione difensiva che bolli i profughi come “arma ibrida” e li respinga con tutti mezzi, ricorrendo anche alla Marina militare, del cui intervento si torna a parlare. Se siamo in guerra, e i profughi arrivano a essere definiti un’«arma di guerra», allora tutto o quasi diventa lecito per scongiurare la minaccia. Se a questo si punta, questo va contrastato con tutto l’impegno di cui si è capaci.