Sono almeno quattro i fattori che ci aiutano a capire il successo di Trump alle elezioni americane.
Il primo ha natura economica ed è l’onda lunga dell’effetto della combinazione di progresso tecnologico e globalizzazione. Con la globalizzazione i mercati del lavoro e del prodotto sono diventati da locali globali, mentre il progresso tecnologico, che ha accelerato il passo con l’intelligenza artificiale, ha aumentato le distanze tra i lavoratori ad alta e a bassa qualifica. I primi (le superstar) sono rari, contesi e poco sostituibili e possono vendere il loro “prodotto” sul mercato globale. I secondi sono abbondanti, facilmente sostituibili e per questo hanno basso potere contrattuale. La globalizzazione li mette inoltre in concorrenza diretta con i lavoratori immigrati e indiretta con i prodotti di imprese che producono in Paesi a basso costo del lavoro. Questo meccanismo è alla radice delle diseguaglianze che aumentano all’interno di ogni Paese, del declino industriale e della classe media. Una parte consistente dei ceti medi e i lavoratori a basso reddito sviluppa ostilità nei confronti dei lavoratori stranieri. Chiede sicurezza e protezione e vede la transizione ecologica e le “magnifiche sorti progressive” della transizione digitale come ulteriori minacce.
Trump e la destra in generale sanno interpretare meglio le istanze e le paure di questa parte importante della popolazione che negli ultimi anni ha anche subito gli effetti dell’inflazione, una tassa regressiva perché ha colpito soprattutto i prezzi dell’energia e dei beni alimentari che rappresentano una quota maggiore nella spesa dei redditi medio-bassi. Il fenomeno si è accentuato elettoralmente nelle ultime elezioni. La quota di elettori con reddito lordo inferiore a 50mila dollari che vota Trump è passata dal 45 al 50% dal 2020 al 2024 e lo stesso è accaduto per i redditi medi. In Europa succede qualcosa di simile. In un lavoro empirico sulle preferenze politiche 33 Paesi negli ultimi 20 anni abbiamo mostrato come i cittadini con redditi medio-bassi sono più ostili ai migranti, più preoccupati della sicurezza, meno interessati a temi come l’ambiente e i diritti civili. Molti di essi sono arrabbiati e non votano. Candidati più capaci di entrare in sintonia con loro possono averli convinti ad andare alle urne in numero maggiore.
A una riflessione più attenta, però, le promesse con le quali Trump ha convinto questi elettori di poter rappresentare meglio della sfidante le loro istanze non appaiono di facile realizzazione. Bloccare l’afflusso di manodopera immigrata e inasprire i dazi con la Cina e forse con i Paesi europei finirà per creare nuove tensioni inflazionistiche. La politica fiscale di Trump ridurrà le tasse delle imprese e dei ceti più ricchi sperando nella curva di Laffer, il principio per il quale una riduzione delle tasse genera un aumento di Pil talmente consistente da ripagare in termini di maggiori entrate fiscali (seppure con un’aliquota ridotta) la perdita iniziale di entrate. La ricerca empirica documenta che questo non è mai successo in realtà e, non a caso, la prima reazione dei mercati delle obbligazioni è stata un calo dei prezzi e un aumento dei tassi.
La rivoluzione economica non sarà senza conseguenze per noi. L’atteso possibile inasprimento del conflitto commerciale, non solo con la Cina ma anche con i Paesi europei si è riflesso subito in un calo delle Borse continentali. L’Italia rischia di essere tra i Paesi più colpiti in uno scenario, coerente con le promesse elettorali, di aumento di dazi del 10%. Facile immaginare che le imprese italiane cercherebbero di resistere comprimendo i margini di profitto per mantenere le quote di mercato, ma che comunque i dazi potrebbero determinare il calo di qualche decimale di Pil.
Se la razionalità economica (o le aspettative sulle promesse economiche che rischiano di essere deluse) spiegano molto ma non tutto, bisogna considerare anche altro. Veniamo così alla seconda ragione. La vulgata economica alla base della nostra cultura ha come fondamento una visione angusta di persona i cui bisogni sono solo materiali (consumi, reddito). Sappiamo in realtà che gli esseri umani hanno bisogni molto più complessi: siamo cercatori di senso, bisognosi di riconoscimento e di relazioni, felici se generativi e, non ultimo e riconosciuto anche da Maslow, teorico della famosa piramide dei bisogni, abbiamo esigenze spirituali più profonde. Mentre Trump, anche se utilizzando la categoria religiosa (ed i valori ad essa connessi) in modo strumentale, ne riconosce l’importanza, la sinistra ha deciso prevalentemente di eliminarla dal discorso pubblico. Sbagliando, perché si tratta di una categoria che conta e molto per tantissimi elettori.
La terza ragione, sottolineata da alcuni commentatori, è che gli americani hanno votato Trump perché hanno paura della Terza guerra mondiale. I democratici hanno dimostrato di non essere riusciti a terminare le due guerre che preoccupano tutti, mentre l’aspettativa degli elettori è che Trump sia capace di mettere un punto.
Infine - quarto fattore - una dimensione irrazionale ma non trascurabile. Il Nobel Kahneman ricorda che abbiamo due sistemi, quello emotivo e quello razionale, e gran parte delle nostre decisioni sono prese dal primo. L’accoppiata ricca di denaro e potere di Trump-Musk, piuttosto che creare invidia e rigetto nei cittadini, dà un’idea di forza e di capacità che supera quella dei suoi avversari. Siamo nel Paese che ha generato ed è cresciuto nell’epopea dei supereroi della Marvel e uno scienziato in grado per la prima volta di far partire e tornare un razzo spaziale al punto di partenza ha una forza simbolica enorme che dà maggiori garanzie di saper sbrogliare problemi titanici come quelli che abbiamo di fronte.
La prova dei fatti in un mondo difficile come quello in cui viviamo finisce per mettere quasi sempre in difficoltà i governi in carica rispetto alle promesse delle opposizioni. Potrebbe accadere, e probabilmente accadrà, anche in questo caso nei prossimi anni, ma quello che è certo è che quattro potenti fattori dietro la narrativa di Trump, arrivato alla contesa dalla posizione più favorevole, abbiamo contribuito significativamente alla sua vittoria, superando sul piatto della bilancia il peso di tutti gli elementi negativi che ben conosciamo e che l’opposizione non ha mancato di sottolineare.