La sfida è appassionare i giovani al senso e alla bellezza del vivere
sabato 18 giugno 2022

Caro direttore,

il 22 maggio 1978 l’Italia introdusse la possibilità di interrompere una gravidanza. Allo stesso tempo il legislatore si premurava di sottolineare che lo Stato, mentre «garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Quell’Italia, per tanti e profondi aspetti, non esiste più. Nel 1968, su 100 matrimoni, 98 si celebravano in chiesa. Dieci anni dopo i nati furono più di 750.000, nonostante il calo delle nascite fosse iniziato alla metà degli anni 60, per non fermarsi più. Nel 2021 i nati sono stati 399.431, praticamente la metà.

Non è invecchiata solo la 194, siamo invecchiati noi. Sembrano esaurirsi le ragioni per generare. Con questi dati, sorge più di un dubbio sull’effettiva capacità di «riconoscere il valore sociale della maternità » da parte dello Stato e della società nel suo insieme. Mi pare il contrario: è purtroppo emerso, in quarant’anni, il disvalore sociale della maternità. Per la Chiesa, che difende, sostiene e custodisce ogni vita, è ovvio che un aborto sarà sempre e solo la morte di un’altra persona. Lo pensano in tanti, anche fuori dai confini della fede. Ma spesso, in una pur innocua conversazione, se si dice 194, immediatamente emerge una sterile contrapposizione: abolizionisti contro abortisti. Sembrano invece ormai maturi i tempi per un pacato e ben più efficace dibattito. Anche lo sguardo più disattento non può non riconoscere che il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza emerge sovente come pura conseguenza di una volontà semplificata: il figlio, adesso, non lo voglio. Non posso, non è il momento. O non lo vogliono i possibili nonni, gli amici e chi sta intorno.

Il bel film 'Piuma' di Rohan Johnson (2016) riporta un quadro esatto, senza retorica, di quel che accade a una coppia di giovani 'normali' alle prese con l’irruzione di una vita non prevista. La legge – questa volontà che scivola in diritto assoluto – non l’hai mai contemplata. Se non si dovesse litigare sull’abolizione della legge, non ci sarebbe più alcuna ragione per parlare e agire? Credo di no, ci sarebbe tanto da fare. Da anni, le inchieste sui sogni e i progetti dei giovani riportano come prevalente il desiderio di sposarsi e fare dei figli. E per quanto controintuitivo, i ragazzi vorrebbero avere più bambini delle loro coetanee. Sarà forse, come afferma Claudio Risè, l’inizio del «ritorno del padre »? Si potrebbe ragionare sul grave ritardo dell’accesso al lavoro dei giovani italiani. Si dovrebbe discutere sul prestigio e il valore che parole come 'matrimonio', 'maternità', 'paternità' hanno perduto e come potremmo farglielo riconquistare visto che cuori e menti giovanili appaiono disponibili a imparare a prendersi cura della debolezza. E cos’è, un bambino, se non il simbolo della fragilità?

Pierangelo Sequeri, grande prete e uomo di pensiero, ha notato che quando si parla del «nascere» si allude, ormai, quasi solo a una questione clinicaostetrico- ospedaliera, sintetizzata nell’infelice espressione «salute riproduttiva ». Nascere, venire alla vita, però, è tema più profondo: ha a che fare con il significato del vivere, del suo perché, della destinazione di coloro che sono arrivati all’esistenza. La Chiesa italiana può fare passi coraggiosi, trovare canali, parole e strumenti per appassionare i giovani al senso della cura della vita, della responsabilità alla generazione. Si può mettere in rilievo che essere padri e madri suscita benevolenza, onore e prestigio non solo agli occhi di Dio ma anche a quelli altrui, visto che l’umano è molto sensibile alla stima che gli altri hanno di noi. Esserci lasciati alle spalle un’Italia patriarcale e autoritaria, aver superato il complesso del 'mammismo' non significa sbarazzarsi anche della nobiltà delle figure del padre e della madre. Il ricorso all’aborto sarà reso sempre più inutile e superfluo da giovani seri, adulti e responsabili che vengano aiutati, presto, a compiere scelte mature. Essere giovani non è affatto sinonimo di immaturità. A chi non crede alla vita come talento verrà spontaneo evitare ad altri la vita. Farà nascere volentieri altra vita chi invece ha scoperto nella fatica del vivere la bellezza dell’esistenza come dono per altri.

Sacerdote e saggista, Pontificia Accademia per la Vita

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