Il risultato del referendum che si svolto una settimana fa in Irlanda è una dura sconfitta, non solo per il diritto alla vita dei concepiti, ma anche per l’Irlanda e per l’Europa. L’Irlanda era l’unico Paese dell’Unione Europea nella cui Costituzione, a seguito di un referendum popolare del 1983, era scritta l’uguaglianza tra la dignità umana del figlio non ancora nato e quella della madre. Anche Malta, la Polonia e l’Ungheria hanno legislazioni che vietano o limitano l’aborto, ma non hanno formulazioni legislative ugualmente chiare e di livello costituzionale come invece era scritto nell’articolo 40.3.3 della Costituzione irlandese. Bisogna poi considerare la prossimità non solo fisica ma anche culturale dell’Irlanda all’Inghilterra, che nel 1967 è stato il primo Paese europeo a legalizzare l’aborto nell’Occidente e che viene propagandata come punto di riferimento sulla strada del progresso civile.
L’isola irlandese è divisa in due parti: il sud cattolico che ha per capitale Dublino e il nord a maggioranza protestate la cui capitale è Belfast. Il nord fa parte del Regno Unito, ma aveva la stessa costituzione del sud. Le due 'Irlande' divise religiosamente avevano però come elemento comune il riconoscimento del diritto alla vita del concepito. Questa paradossale situazione era il segno di un ecumenismo della vita. Tutte le volte che la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata a esaminare il tema dell’aborto ha sempre tenuto conto della diversità di opinioni dei vari Paesi sull’inizio della vita umana e non ha condannato le limitazioni dell’aborto.
Ora, forse, la situazione è cambiata. L’Irlanda ha sempre diffuso in tutto il mondo l’antropologia cristiana. Per questo l’esito del referendum è certo una sconfitta dell’Irlanda, perché ne oscura l’identità, ma anche dell’Europa se le sue fondamenta non sono il mercato, la finanza e l’economia ma sono soprattutto la dignità umana e il rispetto dei diritti dell’uomo come è scritto anche nell’articolo 2 del Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009. San Giovanni Paolo II nel discorso di apertura del convegno su «Il diritto alla vita e l’Europa», promosso dal Movimento per la Vita italiano a Roma nel dicembre 1987, segnalò «la stridente contraddizione tra la legalizzazione dell’aborto, ormai in atto, purtroppo, in quasi tutta l’Europa e ciò che costituisce la grandezza della cultura europea», aggiungendo che «la legalizzazione dell’aborto si è inserita come elemento estraneo recante in sé il germe della corruzione». «In verità – fu la conseguente ammonizione del santo Pontefice – su questo punto l’Europa sta giocando il suo destino futuro».
Tuttavia proprio la rilettura di quel discorso di Karol Wojtyla indica le ragioni per cui non possiamo rassegnarci: «Non vi spaventi la difficoltà del compito – disse –. Non vi freni la constatazione di essere minoranza. La forza è nella verità stessa e non nel numero. L’Europa di domani è nelle vostre mani. Siate degni di questo compito. Voi lavorate per restituire all’Europa la sua vera dignità: quella di essere luogo dove la persona, ogni persona, è affermata nella sua incomparabile dignità... La forza è nella verità, non nel numero».
Quali sono le verità che le potenze finanziarie internazionali cercano di cancellare come è avvenuto per anni in Irlanda, la cui Costituzione era insopportabile per il dominante utilitarismo materialista? Sono due quelle che restituiranno l’anima all’Europa. La prima: ogni figlio fin dal concepimento è un essere umano e quindi un uguale in dignità e diritti; la seconda: la maternità è il segno di un privilegio femminile perché pone il timbro del coraggio e dell’amore sull’inizio di ogni vita umana che un grossolano vetero-femminismo vorrebbe spazzare via. Emergono così le linee strategiche che condurranno alla vittoria: rivolgere lo sguardo sul concepito riconoscendolo come uno di noi e meditare sul significato profondo della maternità per ritrovare il senso della vita. presidente nazionale del Movimento per la Vita italiano