La passione di tanti per una scuola capace di «generare» persone tutte intere
sabato 14 agosto 2021

Caro direttore,
la pandemia ha reso evidente che non solo l’istruzione, ma anche pressoché ogni tipo di educazione (affettiva, alimentare, stradale...) è stata delegata alla scuola: fermatasi quella, per tanti ragazzi si è fermato (più o meno) tutto. Non va bene: è necessario un radicale cambio che faccia passare da una deresponsabilizzante delega educativa a un “villaggio educativo”. «Per educare un bambino ci vuole un villaggio», dice un saggio proverbio africano. Si provveda quindi a livello ministeriale: si responsabilizzino corpi intermedi, associazioni culturali, scientifiche, lavorative... nazionali e locali ad assumersi, accanto alla loro specifica mission, anche la loro inalienabile mission educativa. Educazione sanitaria, educazione alla pace, ambientale: la impartisca chi è competente e opera nel settore proprio, consapevole del dovere educativo che ne deriva. Ovviamente in modo strutturato, con metodi e contenuti ben definiti e monitorati. Fondamentale: non su richiesta del Collegio docenti e quindi sempre su responsabilità della scuola, ma per disposizione ministeriale, come dovere proprio di tutti gli attori presenti sul territorio. “Esperienze educative diffuse” anche presso teatri, musei, centri sportivi, impianti industriali, cooperative sociali potrebbero avvenire nei pomeriggi o al sabato a completamento (o sostituzione) dei “compiti per casa” e rientrare d’obbligo nel curricolo di ogni studente. E la scuola, che compito le resterebbe? Il suo più proprio e cioè educare i giovani attraverso il patrimonio culturale (umanistico, tecnico-scientifico, artistico), guidarli a decodificare le esperienze della vita, dare loro un senso e analizzarle criticamente, aiutandoli a superare la frammentarietà e costruire sistemi di pensiero forti.

Marina Del Fabbro, insegnante presidente sezione Uciim di Trieste

Caro direttore,
Alessandro Zaccuri si domanda sulla prima pagina di “Avvenire” dell’8 agosto: possibile che questo Paese di atleti vincenti e musicisti eccellenti non riesca a far funzionare il sistema scolastico? La risposta è: proprio così! La crisi sanitaria lo ha reso evidente, ma la situazione è gravissima da diversi anni. Le eccellenze non mancano, le persone di buona volontà neppure, ma non basta: la scuola italiana è in tilt. L’autonomia degli istituti (statali e paritari) è rimasta a metà del guado ed è quindi sostanzialmente irrilevante. La burocrazia è tale da scoraggiare chiunque. I sindacati degli insegnanti non sanno guardare al di là del proprio ombelico. I giovani vengono “parcheggiati” nelle scuole superiori (in modo da consentire ai genitori di andare a lavorare...) senza un efficace orientamento. Neanche il governo Draghi sarà in grado di cambiare rotta, se prima non ci saranno una presa di coscienza da parte di tutti gli italiani e un serio dibattito pubblico sugli elementi, formali e sostanziali, che non funzionano.

Leonardo Eva, insegnante Firenze

Caro direttore,
in questi giorni di rinnovato e forte dibattito sulla scuola e sulle modalità per garantirla mi sono tornate in mente, e ho ripreso quel testo, le parole del professor Mauro Magatti, secondo il quale oggi «combattere la povertà non è compito solo dello Stato, ma dell’imprenditore, dell’insegnante, del professionista » («L’euforia e la povertà», “Avvenire” del 20 giugno 2021). Se in un’orchestra musicale ciascuno dona il suo contributo perché venga realizzata una gradevole “sinfonia”, così in una comunità ogni componente è tenuto ad offrire capacità e talenti per costruire un’efficace “sinergia” al servizio del bene comune. Per questo svolgo la missione di insegnante con passione, consapevole che educare le giovani generazioni è un’alta espressione di carità e generosità verso la comunità del proprio Paese. Gli insegnanti sono oggi tra i primi promotori della «rivoluzione della generatività», sostenuta dallo stesso Magatti e dagli economisti della scuola di Economia civile, cito per tutti i collaboratori di “Avvenire” Luigino Bruni a Leonardo Becchetti. Con il loro umile servizio, gli insegnanti combattono quotidianamente nelle aule scolastiche con il sapere, la mente e i cuori, disuguaglianze sociali, culturali ed educative, “formando” responsabili cittadini di un futuro generativo. Ricordiamocelo.

Vito Melia, insegnante Alcamo (Tp)

Nonostante difficoltà, incomprensioni e anche asprezze continuo, gentile amica e cari amici, ad avere immensa fiducia e speranza nella Scuola italiana perché è la “casa” di donne e uomini come voi. Insegnanti appassionati nel lavoro e nel “pungolo” a chi governa e fa le leggi, e a chi vive la realtà dello stesso “villaggio”, perché si generi una nuova generazione di persone umane tutte intere, e dunque non a una sola dimensione, cittadini e cittadine consapevoli. Grazie.

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