Un abbraccio consolatorio tra due donne ucraine nel villaggio di Andriivka, nell’area di Kiev - Epa
In questi giorni papa Francesco insiste nel chiedere la cessazione delle ostilità in Ucraina, invocando la pace. In effetti non è una novità avendo sempre condannato il ricorso alle armi per dirimere i conflitti tra i popoli. Ad esempio, il 23 gennaio 2020, intervenendo al Forum ecclesiale «Mediterraneo frontiera di Pace» a Bari, ha stigmatizzato il grande inganno citando Giovanni XXIII: «La guerra è una follia perché folle è distruggere case, fabbriche, ospedali, uccidere persone anziché costruire relazioni umane ed economiche», svelando, in una comunicazione a braccio, «il grave peccato, la grande ipocrisia: nelle convenzioni internazionali tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi in guerra».
Il magistero di papa Francesco contro la guerra è incentrato sulla promozione della nonviolenza. Per comprendere però la portata di questo indirizzo, è fondamentale la lettura di due testi dai quali si evince il suo pensiero. Il primo è quello del messaggio per la Cinquantesima Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2017) intitolato «La nonviolenza: stile di una politica per la pace». Ciò che colpisce, innanzitutto, è il fatto che venga utilizzato il vocabolo «nonviolenza», scritto volutamente senza trattino; una scelta lessicale, maturata già da alcuni anni nel contesto della società civile, per porre in risalto il carattere positivo e propositivo della nonviolenza. Non si tratta infatti del semplice rifiuto dell’aggressività e della prepotenza, ma innanzitutto della ricerca di una soluzione metodologica che rimanda inevitabilmente all’assunzione di uno stile di vita evangelico, una forza e una pratica positiva, che costruisce una nuova umanità.
Da rilevare che il messaggio papale del 1° gennaio 2017 era stato preceduto dalla Conferenza internazionale svoltasi in Vaticano dall’11 al 13 aprile del 2016 su «Nonviolenza e Pace giusta: un contributo alla comprensione della nonviolenza da parte dei cattolici ». L’assise, promossa dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, da Pax Christi International e da molte altre organizzazioni cattoliche internazionali, aveva visto la partecipazione, oltre che di numerosi vescovi e teologi, di esponenti della nonviolenza, cattolici e non, provenienti da varie parti del mondo. Nel documento finale, riconoscendo che nella storia gli stessi cristiani hanno tradito la nonviolenza di Gesù molte volte, anche «partecipando a guerre, persecuzioni, oppressioni discriminazioni e sfruttamenti», è stato formulato l’auspicio che la Chiesa promuova pratiche e strategie nonviolente (per esempio: resistenza nonviolenta, giustizia riparativa, guarigione dai traumi, protezione non armata dei civili, trasformazione dei con-flitti, strategie di costruzione della pace, la prevenzione dei conflitto); che dia avvio a una conversazione globale sulla nonviolenza a partire dalla Chiesa, con persone di altre fedi, e con il mondo più in generale, per dare risposta alle enormi crisi del nostro tempo. Cosa che francamente, molti politici di matrice cattolica in Europa non sembrano aver recepito.
Di questo documento finale, il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017 riprese in particolare la conclusione: «Noi proponiamo che la Chiesa cattolica sviluppi e prenda in considerazione il passaggio a un approccio di Pace giusta basato sulla nonviolenza evangelica ». Una frase carica di significati che papa Francesco riformulò in questi termini: «La Chiesa si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura», precisando che questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradi- zioni religiose, per le quali la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita. «Lo ribadisco con forza: nessuna religione è terrorista. La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».
Papa Francesco è poi tornato a parlare di nonviolenza a Napoli il 21 giugno 2019 in occasione del convegno «La teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo» presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Napoli). E lo fece scandendo parole cariche di significati che andrebbero integrate nella pastorale ordinaria delle nostre diocesi. In questa circostanza non si è espresso in termini astratti sulla pace, non ha invocato semplicemente la tolleranza fra gli uomini o il rifiuto della violenza. Ha parlato invece di nonviolenza proprio a indicare che questo termine non è l’opposto della violenza, ma una forza e una pratica positiva, che serve a creare le condizioni per una fraternità universale. Papa Francesco anzitutto afferma: «[…] penso alla nonviolenza come o- rizzonte e sapere sul mondo, alla quale la teologia deve guardare come proprio elemento costitutivo». Questo significa che la nonviolenza deve essere vista come punto di partenza fondamentale per l’impianto teologico, avendo uno spettro estremamente ampio: è «orizzonte e sapere sul mondo». In altre parole essa non può essere intesa come obiettivo, traguardo o punto d’approdo, ma in quanto orizzonte di vita necessario per affermare ogni genere di relazione da cui deve scaturire una conoscenza aperta alla vita, originale «sapere sul mondo».
Il Papa non richiama testi o dogmi che fissano la nonviolenza. Con il suo orizzonte, Francesco guarda da un’altra parte. Pensa infatti, e lo dice espressamente, agli «artigiani di pace». Si tratta di un’espressione che manifesta la nonviolenza come prassi. La pace per il Papa non è dunque una teoria ma un impegno quotidiano che si gioca nelle relazioni tra persone. Per questo al centro della nonviolenza non ci sono grandi teorici, moralisti o dogmatici, ma, appunto, gli «artigiani». Sono artigiani coloro che, dal punto di vista cristiano, rendono intelligibili le beatitudini, reinterpretano, costruiscono e reinventano la nonviolenza quotidianamente in ogni campo della società, dall’economia all’educazione, dalla politica alla mondialità, dal lavoro alle migrazioni. Ecco che allora invece di continuare ad assistere all’inutile strage di civili in Ucraina, sarebbe più salutare promuovere non solo un cessate il fuoco, ma anche e soprattutto un negoziato multilaterale per giungere ad una pacifica soluzione della crisi in atto.
Questo ragionamento evidenzia i limiti imposti dal pregiudizio di coloro i quali ritengono che la nonviolenza sia classificabile come semplice pacifismo o alternativa alla teoria della guerra giusta. Al contrario è un programma costruttivo che si realizza con strumenti adeguati. La nonviolenza a pensarci bene è il modo di «essere cristiani». Soprattutto oggi che soffiano prepotentemente i venti di guerra dall’Europa Orientale.