venerdì 26 febbraio 2016
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Caro direttore, in questa Italia in cui, mentre il mondo brucia, un Parlamento composto da eletti strapagati è bloccato da mesi sulla questione dei “nuovi diritti”, mi sembra opportuno non perdere di vista la realtà vera, quella delle persone che hanno quasi esclusivamente dei doveri e che, stranamente, scompaiono non solo dalle slide multicolori, ma anche dalle cronache dei giornali più impegnati. Le spiego.  Nostro figlio è (purtroppo) sotto legge 104. Di conseguenza lo portiamo tre volte a settimana presso un centro specializzato a Roma per la riabilitazione del caso. I costi, se uno detrae la miseria di assegno legato alla Legge 104, sono pressoché totalmente a nostro carico; se siamo fortunati entreremo in convenzione con la Regione Lazio fra un paio d’anni (soliti motivi: non ci sono i soldi, liste d’attesa…). Sabato mattina della passata settimana ci presentiamo per la solita seduta e, al momento del pagamento, ci viene spiegato che la Manovra 2016 ha imposto a tutte le cooperative, anche a quelle che – come nel nostro caso – erogano prestazioni sanitarie, un’aliquota del 5% sui prezzi praticati. In concreto venerdì sera siamo andati a dormire e sabato mattina, quando ci siamo svegliati, abbiamo trovato una nuova “aliquota”, fresca fresca, servita a colazione. Il punto è questo: dato che – dopo aver pagato tutte le tasse ordinarie (ci mancherebbe altro) – paghiamo la riabilitazione di nostro figlio di tasca nostra, non riusciamo a capire la finalità di questa ulteriore “aliquota”, in quanto veniamo tassati su di un servizio che lo Stato non solo non ci fornisce, ma che, ad andar bene, forse ci fornirà tra due anni. E allora siamo sinceri: il nome giusto non è “aliquota” bensì “pizzo”, oppure “tangente” imposta da uno Stato allo sfascio perfino sulla pelle dei disabili. Ma tanto ormai il futuro è arcobaleno. Un caro saluto. Fabio Faggioli, Roma Raccolgo con amarezza uguale alla sua, caro signor Faggioli, questa denuncia. Ci sono indignazioni e rivendicazioni che si nutrono di retorica, e ci sono proteste e resistenze attive alla rassegnazione che si fondano su dati di realtà. La voce sua e della sua famiglia, gentile amico, è certamente di questa seconda e nobile categoria. Il caso che propone e l’ingiustizia che sottolinea, ancora una volta compiuta sulla pelle delle persone più fragili e meritevoli di attenzione, sono purtroppo esemplari della sufficienza declamatoria e, nei fatti, assai spesso presuntuosa e infelice con la quale governanti e legislatori continuano a considerare i diritti delle persone disabili o comunque bisognose di riabilitazione, le necessità di sostegno (o almeno di non intralcio e di non penalizzazione) delle loro famiglie e il valore delle realtà di welfare sussidiario (profit e non profit) che integrano e danno braccia e anima a servizi che l’apparato pubblico non sarebbe mai in grado di garantire compiutamente. Pensi che l’Iva al 5% che è stata applicata ai servizi resi a suo figlio avrebbe potuto essere almeno doppia e il regime complessivamente previsto per le cooperative sociali addirittura punitivo e che c’è voluta una limpida e lunghissima battaglia del movimento cooperativo per scongiurare il peggio. Un peggio, sia chiaro, che comincia col riconoscimento solo formale e non ancora effettivo del diritto di suo figlio a servizi per lui essenziali. Mi creda, checché si scriva su troppi giornali, sotto questo cielo italiano segnato da tutti i toni del grigio dell’inefficienza e dell’indifferenza per gli autentici diritti basilari delle persone, non c’è mai vero arcobaleno…
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