Caro direttore,
esistono anche nelle scienze manageriali – e vengono chiamati “giochi di cooperazione”, così li ha definiti Staccioli – quelli nei quali «i giocatori perseguono un fine comune (...) non ci sono avversari e (...) devono accordarsi per sconfiggere un’avversità o unirsi per sfuggire ai pericoli previsti nel gioco». La stretta di mano, che Tamberi e Barshim si sono scambiati domenica pomeriggio di fronte a centinaia di milioni di telespettatori collegati in diretta, mi ha fatto tornare alla mente un episodio occorsomi quindici e passa anni addietro sul lavoro, durante un’iniziativa di formazione di team building aziendale: rispettando tutti quanti le regole del gioco, avremmo vinto tutti e con il massimo punteggio; qualora invece uno (o più di uno) di noi non avesse rispettato le regole, i punteggi sarebbero stati più bassi per tutti quanti (e forse anche differenziati, ma questo non lo ricordo con precisione). Il gesto compiuto dai due campioni – e la “stoffa del campione” la si è vista non solo da quanti centimetri i due si sono allontanati dal suolo, ma anche e soprattutto in questa stretta di mano – non ha tolto nulla secondo me alla sana e doverosa competizione, che era stata fin lì combattuta, ma ha semplicemente preso atto della possibilità di vincere entrambi. Parafrasando il noto detto mors tua vita mea, i due amici lo hanno declinato in un ben più umano vita mea vitaque nostra igitur melior (corregga pure il latino, se occorre). Preferisco non dirle come andò a finire il nostro gioco di cooperazione…
Mario M. Sfligiotti, dirigente aziendale Milano
Grazie, gentile e caro amico. Esperienza preziosa la sua, e bella riflessione sulla bellissima conclusione della gara di Tamberi e Barshim: insieme si vince di più e meglio. Quanto alla morale che lei trae in modo elegante e lapidario, non oso correggere il latino di nessuno: personalmente, in modo molto semplice, dico: vita mea, vita nostra.