L’ultimo affronto al popolo dei naufraghi è ormai questo. Anche i 'salvagenti' possono servire a poco, se insieme non si pesca il jolly della combinazione giusta, un avvilente e angoscioso 'filotto' che, tra caso e fortuna, schiera la serie degli elementi in gioco: l’imbarcazione di soccorso – se 'privata' o 'militare' – il Paese d’origine e soprattutto il porto d’approdo, nel quale il via libera è regolato dal semaforo impazzito di governi che, da un giorno all’altro, cambiano di segno, se non proprio di natura. Ai migranti dell’Aquarius saranno forse sfuggiti gli sviluppi delle situazioni politiche in Italia e in Spagna, e neppure avranno prestato molta attenzione al repentino cambio di scena avvenuto sui due rispettivi fronti, con i porti italiani già divenuti poco a poco più lontani improvvisamente chiusi e quelli iberici diventati a un tratto più accoglienti.
E per sovrappiù ci sono i francesi: erano arrivati a respingere in malo modo donne incinte alle frontiere e ora si sono riscoperti polemicamente solleciti e solidali... Una realtà capovolta, e nel giro di poche settimane. Non solo parole, ma regole cambiate sul campo, nel giro di poche ore. Come quella della netta differenziazione tra salvataggi operati da Guardia costiera italiana e altri navi militari e quelli effettuati, in lealissima e legalissima collaborazione con la stessa Guardia costiera, da imbarcazioni di Organizzazioni non governative (di tredici che erano, ora ne è rimasta una sola nelle vaste acque del Canale di Sicilia, e messa in condizione di non soccorrere). Queste ultime confinate senza scampo nell’orbita dei sospetti.
È probabile che anche di questa diffidenza, chi viene a trovarsi nella disperata ricerca di salvezza, non sia al corrente, e finisca per non riflettere sul fatto che una nave non vale l’altra, come pure un Paese non vale l’altro, e infine - quel che più conta - un porto può essere alla fine non uguale all’altro. La differenza può risultare infatti fondamentale: si può trattare - e d’ora in poi, in Italia sarà così - di un porto chiuso, quasi un ossimoro pensando al senso dell’approdo.
È difficile aggiungere anche solo un’oncia di oltraggio, all’odissea di chi, per mare o per terra, va in cerca di salvezza o di patria in un mondo scosso dalle ondate telluriche di un caotico cambio d’epoca. Ma l’indecenza di questa sorta di 'ruota della fortuna' da 'giocarsi' in mezzo al mare, è grande. Grande e insopportabile, perché è certo la peggiore e la più odiosa delle derive di una tragedia di fronte alla quale sarebbero le 'politiche' a doversi inchinare, evitando l’incongruo rifugio nell’ipocrisia e nella meschinità delle regole cieche e sorde.
Come può sfuggire l’enormità del divario tra le tragedie in atto e la pochezza delle regole vigenti? Prima delle regole viene infatti una scelta di campo; più forte e più efficace delle norme è l’attitudine, l’atteggiamento, un «sì» o un «no» all’accoglienza del povero e del perseguitato, alla capacità di vedere, finanche nelle visioni offuscate del momento, i lineamenti di un mondo come casa comune della famiglia umana.
Quello a cui si assiste è per il momento solo un gigantesco e misero spot all’industria dello scarto, più volte evocata da papa Francesco. Per la natura e gli elementi in campo, siamo anzi di fronte alla sua massima rappresentazione: lo sprezzo e la noncuranza della vita umana, trattata come la variabile indipendente di un 'fenomeno' da contrastare e sconfiggere con ogni mezzo. La fortuna o il caso potranno assistere perfino l’una o l’altra imbarcazione con il carico di persone – uomini, donne, bambini a bordo. Si potrà essere salvati dall’equipaggio sbagliato. E nel posto sbagliato.
All’Aquarius, finita anche in mezzo alla bufera politica e alle tempeste marine nel lungo tratto tra Italia e Spagna, è toccata una sorte inedita: accompagnata e scortata fino al porto di Valencia da due navi della Marina italiana. Come dire: ponti d’oro ai fuggitivi. E salva, così, la politica della fermezza, la 'voce alzata' che 'paga'. Passano i giorni, ma ancora non paga il senso di scoramento e di sconfitta che si accompagna a tutto questo.