L'Europa come comunità di destino
mercoledì 15 gennaio 2025

La tempestosa congiuntura geopolitica in cui siamo collocati, fa riemergere nell’Unione Europea con più forza le mai sopite questioni della sovranità statuale e del nazionalismo, legate a filo doppio. L’Ue cerca da tempo di veleggiare tra tali scogli, senza un risultato tangibile: una quota crescente dei suoi Paesi richiama esplicitamente la sovranità dello Stato e la nazione come entità politica suprema. Il volto “maledetto” della sovranità moderna, nato con lo Stato e rapidamente degenerato nel nazionalismo aggressivo, è presto detto: la sovranità significa che lo Stato superiorem non recognoscit: è la più alta istanza e non ne riconosce altre. Ciò rende arduo cedere in condizioni paritarie quote di sovranità per favorire la nascita di unità politiche più ampie.
In molti Paesi Ue ha da tempo preso piede il “sovranismo” quale intento di riattribuire agli Stati poteri che si ritiene siano stati indebitamente delegati a più alti livelli politici. Conosciamo i nomi di coloro che si battono apertamente in tal senso: M. Le Pen, J. Bardella, V. Orbán, M. Salvini, S. Abascal ed altri meno noti del gruppo dei Patrioti. Ma anche gli Ecr (Conservatori e riformisti europei) sono su questo punto capitale sulla stessa lunghezza d’onda. La strategia impiegata consiste nel gettare discredito sulle istituzioni comunitarie, accusate di centralismo, lontananza e burocrazia. Le critiche, avanzate guardando molto più all’elettorato interno che all’Unione Europea, sono praticate in quasi tutti i Paesi con maggiore o minore intensità. Questa situazione si è accentuata negli ultimi anni in cui i Capi di Stato e di governo, la Commissione e il Parlamento non trovano la strada per avanzare verso un’Unione capace di aumentare le responsabilità comuni e di rendere l’Europa una comunità di destino. Quanto dovremo aspettare affinché l’Ue superi la regola dell’unanimità? Il diritto di veto in un consesso di 27 Paesi non è altro che una bomba sotto il tavolo pronta ad esplodere ad ogni controversia anche di portata non primaria. Ci si appella retoricamente alla democrazia, dove invece l’unanimità non è richiesta dal metodo democratico che si basa su maggiorana e minoranza. L’esempio del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e del diritto di veto dei 5 grandi insegna più di tanti discorsi.
Circola maggiormente rispetto al passato la consapevolezza che il mondo è cambiato, e che la pax americana non è più garantita per noi come un tempo; però permane la situazione in cui la maggior parte delle competenze rimane agli Stati sovrani, per cui la possibilità di iniziative comunitarie è soffocata. Con un federalismo incompiuto non si possono fare passi avanti.
Una comunità di destino ha bisogno oltre che di una moneta comune, di una politica estera comune e di una difesa comune, che vada oltre l’insistente richiamo alla nazione e alla sovranità. La difesa comune può essere intesa come un semplice coordinamento dei governi dei singoli Stati nazionali, oppure come un sistema unico integrato nel cammino verso una federazione europea.
Le difficoltà di avanzamento non sono solo di carattere tecnico-organizzativo, ma di caratura intellettuale, dove si confrontano diverse visioni lungamente stratificatesi. Ascoltando con la dovuta attenzione i discorsi della nostra Presidente del Consiglio, si nota un richiamo molto frequente alla nazione italiana e non al popolo italiano. I concetti di nazione e di popolo sono e rimangono eterogenei, e tra i due quello di popolo è più fondamentale e primario di quello di nazione. Lo avevano inteso già Cicerone e sant’Agostino nel mondo antico, i politici e teologi medievali, e molto chiaro era per A. Lincoln quando nel celebre discorso di Gettysburg (1863) definì la democrazia «governo del popolo, da parte del popolo e per il popolo». La nazione come comunità etnica, feconda di storie, sentimenti ed eredità comuni, è qualcosa di grande che va mantenuto, ma non può essere il concetto politico supremo, come lo è quello di popolo in cui si esprime la volontà di vivere insieme per un bene comune e sotto leggi giuste, anche là dove non vi è un’unica identità etnica. La resa al nazionalismo aggressivo e alla sovranità nazionale hanno invece nel XIX e XX secolo procurato danni e massacri immensi; anzi il principio di nazionalità ha primeggiato sul principio di classe. Non è per caso che nel passaggio di secolo tra ‘800 e ‘900 sorse dal cristianesimo politico europeo l’idea di partiti popolari, e che adesso esista un partito popolare europeo. Esso, a dire il vero con molta fatica e non sempre con piena convinzione, cerca di tenere in alto l’idea del popolarismo, aperta all’unione politica con altri Stati. Su questo gli insegnamenti di grandi pensatori come Guardini, Maritain e Sturzo sono convergenti.
Quanto sto qui delineando sarebbe solo un discorso teorico e poco incisivo? Nell’Ue da decenni si delineano due prospettive: quella dell’Europa delle Patrie/Nazioni, ossia una confederazione di Stati che fondamentalmente rimangono detentori della loro sovranità, e quella federazione europea (gli Stati Uniti d’Europa). La prima era la visione di De Gaulle che sfortunatamente ha lasciato un segno duraturo. La Presidente Meloni indicò che questa era la sua strada diversi anni prima di vincere le elezioni, riconfermandola dopo. Spiace ricordare che la Francia ha posto insidiosi ostacoli alla federazione europea già nel 1954 con il no alla Ced (Comunità europea di difesa). Successivamente nella Costituzione del 1958, sinora in vigore e promossa da De Gaulle, la sovranità è celebrata e la possibile cessione di sovranità come la difesa comune non sono contemplate (la Francia uscì dalla Nato per oltre 40 anni). In certo modo il gaullismo francese è stato recepito da Fratelli d’Italia che hanno alle spalle un’ideologia politica che puntava molto più sulla sovranità e la nazione che sul popolo. La riluttanza dell’attuale Governo a rendere più ampio ed effettivo lo jus culturae e lo jus scholae (fondamentali per costituire un popolo) potrebbe dipendere anche da ciò.
La nostra Costituzione in cui la sovranità appartiene al popolo, «consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». Oggi alzare la bandiera della sovranità nazionale è un errore concettuale e storico, se il compito è di conseguire pace e giustizia.

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