Gentile direttore,
ho letto la corrispondenza dal Festival di Venezia dell’inviata Angela Calvini («La Shoah degli ultimi carnefici», “Avvenire” del 6 settembre). Sono nato nel 1937, quindi poco prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Essendo di religione ebraica, sono vivo solo grazie all’eroismo dei miei compaesani, e alla Provvidenza che ha dato loro una mano. Non vedrò il film con Alessandro Gassman. Quel medico ha sbagliato almeno due volte: una come medico, venendo meno al suo codice deontologico, la seconda come ebreo. Un antico detto ebraico dice infatti che la più grande vittoria di un uomo consiste nel trasformare un nemico in un amico. Quel medico avrebbe dovuto curare il ferito, come qualsiasi altro paziente. Alla sua guarigione, avrebbe dovuto suscitare in lui il ravvedimento e avviare una riconciliazione. Perdonare è semplice, riconciliarsi è complesso e necessita di tanta umiltà e coraggio. Io ho avuto la fortuna (a posteriori) e la cocciutaggine di sperimentarlo un paio di volte... Diverso è il caso del film documentario “Final account”. Il regista trova un SS che ha rimorso e che inveisce contro i neo-nazi. Anche uno solo, riscatta l’ignavia e la vigliaccheria di tutti gli altri.
Roberto Paggi Roma
Francamente, gentile e caro ingegner Paggi, non credo che l’atto del perdono sia mai semplice. Ci si può certamente allenare al perdono, imparando l’arte dell’accoglienza dell’altro (e della sua verità, magari scomoda) che, come mi ha insegnato un grande maestro di pensiero nei miei verdi anni, non coincide affatto ed è ben più importante della mera tolleranza. Sia nel mio lavoro di giornalista sia nella vita quotidiana, però, continuo a constatare che, spesso, perdonare resta difficile e, a volte, è persino eroico. Detto questo, sono totalmente d’accordo con lei sul fatto che davvero decisiva, sempre ma soprattutto quando il male è stato grande, è la riconciliazione. Cioè il perdono dato e ricevuto. Cioè il male compreso e sanato, non rimosso. Cioè il ricominciamento della storia – piccola o grande che sia – in cui il male si è inciso. Se poi il gran passo contemporaneo della riconciliazione, secondo l’antica saggezza che lei cita, arriva a essere anche l’inizio di un’amicizia, il miracolo del dono reciproco è semplicemente immenso. È un bene che nuovi film tornino a nutrire la nostra memoria e la nostra riflessione, che riescano a emozionarci e ci spingano a dibattere e a consentire e a dissentire. Abbiamo proprio bisogno di questa vivacità consapevole, davanti all’incalzante rischio della smemoratezza e della superficialità. Grazie, gentile amico, per la sua preziosa e profonda provocazione.