Una vista sulle cisterne contenenti l’acqua contaminata della centrale nucleare di Fukushima - Ansa
A12 anni dall’avvio della crisi dei reattori nella centrale nucleare di Fukushima-2 appare ormai prossimo l’avvio del graduale svuotamento in mare dell’enorme quantità di acqua utilizzata finora per raffreddare le barre di combustibile all’interno dei reattori finiti in avaria per l’onda di tsunami che l’11 marzo 2011 ha seguito il più forte sisma mai registrato nell’arcipelago giapponese. Il governo di Tokyo intende cominciare lo sversamento in mare questa primavera o nell’estate, seguendo le pressioni dell’azienda energetica che ha la gestione dell’impianto, la Tokyo Electric Power Company (Tepco) per rendere possibile l’avvio dei lavori di smantellamento dei reattori e decontaminazione dell’area che si prevede possano durare da 30 a 40 anni.
Una situazione e soprattutto una prospettiva che, indicata come necessaria dalle autorità per l’impossibilità di accumulare nuovo liquido nella distesa di cisterne costruite nel tempo intorno all’impianto, preoccupa l’opinione pubblica giapponese, a partire dai pescatori che temono un innalzamento della radioattività nelle acque che bagnano la costa settentrionale dell’isola di Honshu, eventualità che potrebbe condizionare la fiducia dei consumatori locali e bloccare nuovamente l’export ittico, una delle maggiori risorse economiche della regione. Opposizione manifestano anche vari paesi bagnati dallo stesso mare, Cina, Russia e Corea del Sud in testa, che peraltro partecipano, come altri, all’invio in mare di elevate quantità di contaminanti radioattivi come conseguenza del funzionamento delle loro centrali nucleari.
Una prospettiva, quella di Fukushima, che comunque inquieta ma che viene presentata come sostanzialmente priva di rischi dall’esecutivo guidato da Fumio Kishida. In questo supportato dai risultati dei test (90mila all’anno) condotti sui campioni di acqua prelevati nell’area della centrale in avaria e sui campioni giornalieri di pesce. Qual è la situazione reale di rischio nella centrale che è diventata un fronte in cui si combatte con tecnologie anche inedite, tra fallimenti e parziali successi, una lotta finora non risolutiva contro l’energia che ribolle all’interno dei reattori e che potrebbe costituire un rischio ancora per decenni? Difficile da valutare in prospettiva, se non procedendo con iniziative di bonifica.
L'impianto di Fukushima-2 (Fukushima Dai-ichi) che ospita sei reattori, ha perso parte della possibilità di raffreddamento autonomo. I reattori numero 1 e 3 videro nei giorni successivi all’urto dell’onda di tsunami una parziale fusione dei contenitori di materiale fissile (meltdown, è uno dei termini tecnici a cui il mondo si è dovuto abituare) e esplosioni di idrogeno con la parziale distruzione degli edifici contenenti i reattori 1, 3 e 4. Da allora è stata costantemente pompata acqua al loro interno per raffreddare il combustibile nucleare. Inizialmente in grandi quantità e senza protezione, contaminando con Cesio e Stronzio il suolo, le fonti d’acqua e la pioggia prima che venisse in parte congelata per evitare infiltrazioni nel suolo facendola transitare attraverso apposite canalizzazioni coperte. Dal 2013, l’acqua di raffreddamento è stata avviata in contenitori appositamente costruiti, dopo un trattamento per rimuovere la maggior parte degli elementi contaminanti. Vi confluisce l’acqua recuperata dagli impianti, ma di questa solo metà – 400 tonnellate al giorno – viene stoccata dopo la depurazione, mentre l’altra viene reimmessa per il raffreddamento.
Nella distesa di cisterne sono state raccolte così almeno 1,32 milioni di tonnellate di liquido, il 96 per cento registrato a febbraio della capacità massima. Ufficialmente decontaminata se non con bassi livelli di contaminazione da Trizio, isotopo radioattivo normalmente presente nell’ambiente come conseguenza di radiazioni cosmiche, esperimenti atomici e fenomeni naturali di accumulo. Per abbassare ulteriormente i rischi di contaminazione, l’immensa quantità d’acqua che con gradualità potrebbe raggiungere le acque del Pacifico attraverso un tunnel sottomarino di un chilometro in via di completamento, transiterebbe da due enormi vasche poste a ridosso dei reattori 5 e 6 non interessati dal meltdown dove sarebbe ulteriormente trattata per portare la presenza dell’isotopo contaminante molto al di sotto di quella considerata limite secondo gli standard nazionali.
Dopo la comunicazione dell’aprile di due anni fa che indicava nella primavera 2023 l’avvio delle operazioni, un passo decisivo era atteso, ma non per questo accolto senza opposizione o scetticismo, a partire dai Paesi più prossimi alle coste del Giappone settentrionale. Opposizione che è sicuramente parte di un contenzioso che bilancia rivalità economiche, strategiche e inimicizie storiche, ma anche indice di preoccupazione sulla reale portata dell’annunciato rilascio in mare oltre le assicurazioni dell’azienda e del governo di Tokyo. D’altra parte, come ha ricordato l’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun durante l’ultima Assemblea generale dell’organizzazione “sfortunatamente a tutt’oggi il Giappone ha mancato di fornire ragioni credibili di fondamento scientifico su questioni essenziali”, a partire dalla legittimità dell’operazione e l’affidabilità dei dati sul trattamento anti-radiazioni. Sulla stessa linea la Russia, mentre la Corea del Sud - con la quale Tokyo ha in corso un percorso distensivo dopo anni di freddezza nei rapporti - tende oggi meno a giocare la “carta” di Fukushima per non mettere in difficoltà il vicino. Istituti di ricerca sudcoreani di area governativa hanno segnalato a febbraio che l’operazione di sversamento non dovrebbe avere ripercussioni sulla salute umana data la bassissima concentrazione di Trizio.
Vero è che la Tepco e il governo guidato allora da Shinzo Abe avevano promesso nel 2015 che non avrebbero smaltito le acque trattate prima di avere ricevuto il via libera di tutte le parti coinvolte, lasciando però nel vago a chi si riferissero. Kishida sa che lo scetticismo resta a elevato. Pesano le falle e le coperture della gestione della crisi e a tutt’oggi i residenti, come i pescatori dell’area costiera interessata attendono di essere adeguatamente consultati. A preoccupare questi ultimi non sarebbero però le mosse del governo che, ha suggerito Nozaki Tetsu, presidente dell’Associazione delle cooperative di pesca della prefettura di Fukushima, “in termini di spiegazioni negli ultimi 10 anni non si sono rivelate menzognere” (forse riguardo la casualità per lo scoppio della crisi, ma con ampie contraddizioni sulla sua gestione), quanto “ la reputazione negativa che questo crea”.
L'Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea), che è già intervenuta per assicurare che le operazioni avvengano secondo gli standard internazionali e senza danno per le popolazioni e per l’ambiente, ha predisposto un voluminoso dossier sul piano governativo di smaltimento. Come ha sottolineato il suo direttore generale Rafael Grossi, se sono stati fatti “sostanziali progressi nello smantellamento di Fukushima Dai-ichi dalla mia visita di due anni fa”, “la trasparenza del procedimento è la chiave per un’esecuzione con successo del piano giapponese”. Le autorità nipponiche, da parte loro, sembrano puntare alla ricerca di un vasto consenso internazionale e in questo contesto si ritiene probabile che la data dell’avvio dell’operazione di sversamento in mare possa essere comunicata durante il vertice del G-7 che si terrà a Hiroshima dal 19 al 21 maggio. Non è difficile cogliere il senso ma anche l’ironia di questa possibilità...