Il punto a mio parere maggiormente rilevante dell’assalto rivolto in questi giorni al manifesto di Ventotene, al netto delle necessarie contestualizzazioni storiche e storiografiche, sta nel riferimento al tema della “proprietà privata”. Il testo incriminato è limpido: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale». Evidentemente questa relativizzazione del possesso privato di beni, che non sono solo sempre tali, produce fastidio e irritazione in ambiti ideologici afferenti alla “nuova destra” (parola di Italo Mancini) e al liberismo imperante. Invece proprio qui si rilevano semi dell’Evangelo tutt’altro che irrilevanti.
Se intendiamo dare seguito alle radici cristiane dell’Europa, andando alla sostanza, non possiamo non riconoscere il fatto che nel Cristianesimo la proprietà dei beni materiali non è né può essere un “valore assoluto”. La sua relatività etica e direi ontologica scaturisce dal fatto che ciò che possediamo, così come il nostro corpo, ci è dato per relazionarci e non per l’accumulo e il profitto. La questione è antropologica prima che politica ed etica. Il vero problema è la consapevolezza che i credenti nel Dio di Gesù Cristo possano aver assunto dal suo messaggio. E la formulazione è tanto semplice quanto chiara: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno, infatti, tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,32-35, sottolineatura mia). Comunismo no, Cristianesimo sì.
Il “cristianesimo borghese” ha tentato di annacquare in tutti i modi il messaggio originario e originale e potrei dover riconoscere che ci è riuscito alla grande. Ma neppure chiunque sia dotato di onestà intellettuale può ritenere che questa versione socio-politica della fede sia corrispondente all’Evangelo. Così come non è prerogativa dell’attuale vescovo di Roma, in quanto egli in questo si inserisce in una, direi secolare, tradizione: Infatti, ad esempio nel 1967, Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, inseriva il Magistero sociale nella grande tradizione dei Padri della Chiesa: «Se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare in lui? Si sa con quale fermezza i padri della Chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: «Non è del tuo avere — afferma sant’Ambrogio — che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi». È come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei padri della Chiesa e dei grandi teologi. Ove intervenga un conflitto tra diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali, spetta ai poteri pubblici adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali» (Populorum progressio 23, sottolineatura mia).
Tuttavia, è lecito porre la domanda sul senso della proprietà dei beni terreni. E mi pare si debba rinvenire nel fatto che essi costituiscono un prolungamento della nostra corporeità e ci aiutano ad esprimerla e a viverla in pienezza. Un esempio biblico-gesuano può forse supportare quanto sostengo. Gesù di Nazareth vive certamente una vita povera, ma non da sciatto pezzente, in quanto, tra l’altro, si lascia sostenere economicamente dal suo seguito (femminile): «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni» (Lc 8, 2-3). Gesù non disdegna il soccorso dei beni, ma al tempo stesso neppure di indossare una tunica di un certo valore, che i soldati nella passione non osano lacerare, perché preziosa (cf Gv 19,23-24). Il senso della proprietà sta dunque nel rapporto alla persona che a sua volta è chiamata a relazionarsi col mondo e gli altri. E, a proposito dell’Europa, come credenti, non possiamo rassegnarci e avallare senza adeguato spirito critico un’unione radicata semplicemente sulla moneta e sulle armi. Di qui l’urgenza, come chiede il cardinal Matteo Zuppi, di una “Camaldoli europea”, che non si fermi a Ventotene, ma osi andare oltre schieramenti, ideologismi e trattative di basso profilo.