«Qui come in un altro luogo» è un pellegrinaggio «vissuto nella speranza e nella pace». Qui, a Fatima, come in un altro luogo. Ed è questa sottolineatura papale, deliberata quanto puntuale, a voltare definitivamente pagina ai sigilli e alle ceralacche lunghe quanto un secolo di inutili stragi. L’arrivo del pellegrino Francesco ha scavalcato il «secolo breve», l’era dei cataclismi, per dirla con Eric Hobsbawm. Il «secolo breve» della prosopopea dei "fatimiti", della scia coreografica dei detective del mistero, dei suoi interpreti improvvisati, delle strumentalizzazioni e delle «inutili speculazioni» – come già prima della partenza aveva fatto intendere il segretario di Stato Parolin – per restituire a questo luogo mariano lo spazio e lo sguardo senza veli che gli appartiene e che a tutti è aperto: quello essenziale del Vangelo. L’hic et nunc di un tempo aperto, con la sua unica e chiara profezia di sempre: il male non ha l’ultima parola, perché è già stato vinto.
Se il magistero rende noto che le rivelazioni private posteriori al Vangelo, anche approvate e favorite dalle autorità ecclesiastiche, non sono dogmi di fede, e che per salvarsi bastano la Parola di Dio, i sacramenti e gli altri mezzi messi a disposizione nella Chiesa, articolo di fede contenuto nel Vangelo è però anche questo: che «segni accompagneranno quelli che credono», ed è perciò opportuno badare alle cose sottolineate dal segno. Fatima ci parla di prossimità. Qui per i credenti la Madre di Dio, partecipe della pienezza dei tempi, si è fatta prossima a bambini analfabeti, già a tutti gli effetti "scarti" di un mondo sul baratro perverso della guerra. Prossima, secondo la modalità evangelica di entrare nelle pieghe e nei crocevia della storia come madre che esce, allarga le braccia e viene in soccorso indicando la possibilità di salvezza. E mostrando che il suo modo di amare è misericordia, anzi ne è "segno e sacramento", in lei è riflesso il messaggio essenziale del Vangelo.
Fatima ci parla ancora di preghiera e di conversione. Quale? Papa Francesco si è voluto soffermare proprio su Maria, anzi sullo «stile di Maria», che ha avuto una missione unica nella storia della salvezza, aprendo la via che conduce a Cristo. Come artefice di comunione e modello di umanità insegna la maniera di essere autentici cristiani e di essere Chiesa, perché in quanto madre è paradigma di inclusione e modello ecclesiale, di vita pastorale e di stile missionario.
Si capisce perché Francesco è venuto a Fatima come figlio in mezzo agli altri, facendosi piccolo per ricevere lo sguardo materno di Maria: «Ogni volta che guardiamo Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In Lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non c’è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti». A Fatima cita Paolo VI e il Concilio, e ripete ancora con l’Evangelii gaudium che «questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di Lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione». Chiede poi che «con la sua preghiera materna aiuti la Chiesa perché diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli, e renda possibile la nascita di un mondo nuovo».
Francesco è venuto qui da pellegrino dopo aver attraversato i santuari mariani di Aparecida, Guadalupe e molti altri d’Occidente e d’Oriente. Proprio dentro le preghiere che salivano dal popolo di Dio nel santuario brasiliano di Aparecida c’è l’inizio, esattamente dieci anni fa, di un «cambio d’epoca» per una «conversione ecclesiale» nello stile mariano, che altro non sarebbe se non adesione al Vangelo sine glossa. Ecco il segreto svelato dalla notte dei tempi. Lo stile di Fatima è lo stesso di Lourdes, di Guadalupe, di Aparecida. Ma questo stile di madre è reso tuttora visibile e praticato dalla Chiesa? Il segreto di Fatima è quanto di più non segreto ci possa essere. Perché basta viverlo.