Il riscatto della promessa
domenica 3 settembre 2017

Anche se sapessi che la fine del mondo è domani, io andrei ancora oggi a piantare un albero di mele.

Martin Lutero

Dopo i grandi capitoli delle consolazioni, delle benedizioni e delle promesse, dopo l’annuncio della Nuova alleanza, il libro di Geremia torna alla cronaca del tempo dell’assedio dei babilonesi e dell’imminente conquista e distruzione di Gerusalemme (l’anno 587). Giorni terribili, che ci accompagneranno fino al termine del libro, dove si compiranno la profezia e la vita del profeta. A narrarci fatti e parole è Baruc, fedele compagno e segretario di Geremia, il cui nome fa ora la sua prima comparsa nel testo. Tornando alla storia, ritroviamo Geremia prigioniero del re Sedecìa. Il capo di accusa lo conosciamo già, perché è il cuore stesso della sua missione profetica: «Perché profetizzi in questi termini? Tu affermi: "Dice il Signore: Ecco, metterò questa città in potere del re di Babilonia ed egli la occuperà"» (Geremia 32,3). Si stanno dunque avverando le profezie di Geremia, negate dai falsi profeti, dai capi del popolo e dai sacerdoti del tempio.

In questo contesto di disperazione, ci imbattiamo, all’improvviso, in un altro grande episodio: l’acquisto profetico di un campo. Suo cugino (Hanamel) gli offre il diritto di prelazione su un terreno in Anatot, il paese natale del profeta, non distante da Gerusalemme. Geremia lo compra, perché «riconobbi che questa era la parola di YHWH» (32,8). Un nuovo gesto profetico, che questa volta prende direttamente le forme e il linguaggio dell’economia. Il segno usa le parole e le azioni di un contratto, di una compravendita immobiliare, di uno scambio di mercato. Anche la brocca, il giogo, la cintura erano manufatti umani, quindi frutti del lavoro e dell’oikonomia umana. Ma ora l’economia entra esplicitamente in gioco, e per la prima volta la profezia parla parole economiche, si incarna in denaro, sigilli, contratti. Dov’è una laicità più bella e vera di quella biblica? La parola di YHWH diventa 17 sicli d’argento: «Stesi il documento del contratto, lo sigillai, chiamai i testimoni e pesai l’argento sulla stadera. Quindi presi l’atto di acquisto, la copia sigillata secondo le prescrizioni della legge e quella rimasta aperta. Diedi l’atto di acquisto a Baruc, figlio di Neria, figlio di Macsia, sotto gli occhi di Canamèl, figlio di mio zio, e sotto gli occhi dei testimoni che avevano sottoscritto l’atto di acquisto» (32,10-12).

Come spesso accade quando abbiamo a che fare con atti decisivi, come lo sono sempre i gesti profetici, nei dettagli si nascondono parole importanti. Geremia verga il testo del contratto redatto in due copie sullo stesso foglio di papiro, tagliato in parte su di un lato, in modo da tenere assieme le due copie. Ne sigilla una - l’altra restava arrotolata e aperta per poter essere consultata -, chiama i testimoni, pesa l’argento sulla bilancia (nell’antichità le unità di misura della moneta erano unità di peso). Vuole essere sicuro che tutti capiscano, che noi capiamo, che ha stipulato un contratto vero, perfetto («a norma di legge e giustizia»: 32,10), che quel campo lo ha comprato davvero, davanti a testimoni. E così parole, gesti e oggetti che appartenevano al repertorio dei pochi tecnici del settore, che diventano uno dei segni più solenni dell’intera profezia biblica.

All’udire la parola "riscatto", al lettore della Bibbia vengono alla mente molte cose. Il grido di Giobbe che invoca un riscattatore/Goel che ancora non arrivava sul suo mucchio di letame, e che non arrivò (cap. 19). O la storia di Rut, che ci rivela un altro splendido dettaglio di questi antichi contratti di riscatto: «Per convalidare un atto, uno si toglieva il sandalo e lo dava all’altro» (Rut 4,7). Quell’acquisto di Geremia, però, evoca soprattutto Abramo, il suo contratto per l’acquisto della terra per la tomba di Sara: «Abramo pesò a Efron il prezzo che questi aveva detto, mentre lo ascoltavano gli Ittiti, cioè quattrocento sicli d’argento, secondo la misura in corso sul mercato» (Genesi 23,16). La Bibbia è anche questo, un patrimonio di vita ordinaria delle donne e degli uomini, dove un giogo e un contratto contengono la stessa dignità del Sinai. Dove si trova una laicità più vera di questa? Questa bella e liberatoria laicità della Bibbia è sempre più rara nel nostro tempo, dove troppi credono che le parole e i gesti dell’economia, del lavoro e dei contratti siano troppo umani e semplici per scorgerci dentro parole e gesti profetici, perché gli unici atti e parole degni di Dio devono essere quelli compiuti dentro il tempio, dai tecnici della religione. E così continuiamo a raccontare un Dio sempre più distante dalla vita vera della gente, e – ci ripete Geremia – anche dalla Bibbia.

Geremia, Rut e Abramo ci dicono allora che soltanto la morte e una sposa possono essere accostati alla solennità e serietà di un gesto profetico, che per questa ragione deve essere descritto e ricordato in tutti i suoi dettagli. E poi custodito in un’anfora, custodito soprattutto dentro la Bibbia: «Poi davanti a tutti diedi a Baruc quest’ordine: "Prendi questi documenti, quest’atto di acquisto, la copia sigillata e quella aperta, e mettili in un vaso di terracotta, perché si conservino a lungo"» (32,13-14). E si sono conservati molto a lungo, arrivando fino a noi, oggi. Il capolavoro di questo episodio sta nella spiegazione che Geremia dà del suo gesto profetico: ogni volta che la rileggo mi commuove e mi dice parole nuove: «Poiché così dice YHWH, Dio d’Israele: "Ancora si compreranno case, campi e vigne in questo paese"» (32,15). Un verso grandioso, un canto all’umanità - la Bibbia parla molto di Dio, ma soprattutto parla degli uomini e delle donne, e della loro infinità dignità.

Gerusalemme sta per essere distrutta, il popolo esiliato. I campi, le vigne, e tutte le attività economiche non valgono più nulla. Nessuno vende perché nessuno è così sprovveduto da comprare un campo alla vigilia di un esilio. Forse gli unici che avrebbero potuto acquistare, sperando di speculare sulla paura, erano i falsi profeti, convinti sostenitori dell’ideologia dell’inviolabilità del tempio, certi che YHWH li avrebbe salvati dall’assedio, compiendo un grande miracolo. Geremia invece da quarant’anni profetizzava la distruzione di Gerusalemme, e quindi non ha alcun dubbio che la città è sull’orlo della capitolazione e della deportazione in Babilonia. Quegli annunciati giorni della devastazione stanno per arrivare davvero. E Geremia compra un campo. Lo paga "in contanti", stipula un contratto perfetto, con la stessa cura di chi, convinto di aver fatto un grosso affare, è attento a tutti i particolari. E fa tutto questo per dire: qui si compreranno ancora case, campi e vigne. Lavoreremo ancora qui. Questa terra promessa ai nostri padri, anche se oggi è occupata e devastata, resta la terra promessa, il luogo dell’Alleanza, dove ci innamoreremo, sposeremo e genereremo figli, ancora. La distruzione della città non distrugge la parola che quella città aveva fondato. Non la distrugge perché un profeta continua a pronunciarla ancora. È proprio qui, su terreni come questo che oggi sto acquistando, il luogo dove ancora lavoreremo, faremo contratti, venderemo e acquisteremo. L’acquisto di quel campo non è soltanto riscatto di un terreno: è riscatto del futuro, che diventa pegno del ritorno a casa, di un ritorno certo, come certa è la sventura.

Comprò quel terreno per dire tutto questo al re e al suo popolo, che non gli credevano, che lo avevano messo in carcere per farlo morire. Ma per dirlo anche a noi, che oggi leggiamo queste parole. A chi, di fronte alla devastazione imminente e certa della propria impresa o della propria comunità, quando ormai tutto parla soltanto e veramente di fine e di morte, sente una voce che gli dice: questa distruzione e questo esilio sono veri e dolorosi, ma è altrettanto vero che torneremo a vivere, ad amare, a lavorare, questa morte non sarà l’ultima parola. Questa nostra terra desolata avrà ancora un futuro. E poi agisce, fa un atto, perché le parole di vita non sono mai astratti o solo intellettuali: sono vitelli d’oro e vitelli grassi, bambini, croci di legno e pietre rotolate. Il logos che non diventa carne non abita nella Bibbia, perché non abita nella vita. I modi di agire sono molti, ma non potremmo mai sapere quanti "terreni acquistati", ieri, da qualcuno hanno reso possibile, oggi, il nostro ritorno a casa. Qualcuno che durante la lunga crisi ha creduto, ha resistito, ha acquistato, e noi oggi possiamo ancora lavorare in quell’impresa. Qualcuno che oggi, mentre tutti fuggono dalla comunità delusi e impauriti, custodisce e cura un giardino, nel segreto della stanza non fa morire una pianta, fa crescere un albero, per dire che in quella casa, in quella comunità, in quella famiglia, la vita continuerà, e sarà vita vera – la terra promessa è piena di giardini e di piante annaffiate di notte da chi vuole continuare a credere, nonostante tutto. Queste cose le sanno fare i profeti, e chi fa queste cose assomiglia ai profeti, è come loro, è uno/una di loro, anche se non lo sa – la terra è piena di profezia. Qualche volta veniamo a conoscenza di qualcuno di questi gesti, ma sono sempre molti di più quelli che non scopriremo mai. Come non possiamo sapere quanti "terreni" che noi stiamo acquistando oggi nel tempo della devastazione, stanno creando le condizioni spirituali perché domani qualcuno possa tornare, per coltivarli e continuare a vivere.

Geremia aveva profetizzato che l’esilio sarebbe durato settant’anni. Quindi sa bene che il terreno che oggi compra non sarà il terreno che lui, già vecchio, coltiverà domani. Quella terrà avrà futuro, ma sarà il futuro di bambini, uomini e donne, che Geremia e i suoi contemporanei non conosceranno. La gratuità è comprare, con contratto perfetto, un campo che nutrirà altri. È questa gratuità che oggi può salvare il pianeta e le nostre anime: quando torneremo ad acquistare terreni che nutriranno i nostri pronipoti? «Essi si compreranno campi con denaro, stenderanno contratti e li sigilleranno e si chiameranno testimoni nella terra di Beniamino e nei dintorni di Gerusalemme» (32,44). Non ci sono parole più grandi e vere di queste per dire "ricominciare" alla fine dell’esilio: comprare campi, stendere contratti, acquistare, vendere, lavorare.

l.bruni@lumsa.it


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