Quando un caro amico sacerdote, morto qualche anno fa, iniziava il sacramento della confessione, faceva qualcosa di inusuale. Dopo il segno della croce, recitava immediatamente la formula dell’assoluzione. Stupito, gli chiesi il perché. La sua risposta è rimasta scolpita in me: «Pensi che il Signore ti perdoni perché confessi i tuoi peccati? Ma Lui ti ha perdonato molto prima e in una misura che neanche immagini. Chiedere perdono serve a te, per aprire il cuore e accogliere un po’ di quel perdono che travolge tutto». Il perdono non è una teoria, è un’esperienza che “capire non lo può chi non lo prova”. Quel gesto e quelle parole credo possano illuminare il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno pone al centro il versetto evangelico «Rimetti a noi i nostri debiti». È un richiamo che si muove su due fronti: il perdono come esperienza personale e intima, e il perdono come motore di giustizia sociale e pace mondiale. Il perdono è innanzitutto una dinamica di intimità. Nelle relazioni autentiche, il perdono è il riconoscimento del legame profondo che ci unisce, quel legame che Papa Francesco richiama quando parla del nostro essere figli di un unico Padre. Al contrario, l’estraneità, quella domanda antica e tragica – «Sono forse il custode di mio fratello?» – diventa il terreno fertile per la degenerazione di ogni conflitto.
Quando una persona smette di riconoscere la propria relazione con Dio, osserva il Papa, si apre alla logica dell’egoismo: «Il più forte si sente in diritto di sopraffare il più debole, trasformando le relazioni umane in rapporti di sfruttamento». La gratitudine svanisce, e con essa anche il senso del dono. Così, l’uomo dimentica che la vita – e ogni anno che ci viene affidato – non è un possesso, ma un dono: qualcosa che “ci troviamo tra le mani” senza meriti personali, e che abbiamo il compito di custodire. È questo un punto condivisibile da credenti e non credenti? Cancellare il senso del dono deforma l’azione umana in una perenne conquista, coerentemente costellata di meriti, per giungere a un giudizio (in realtà disprezzo) verso chi non conquista nulla solo perché non ce la fa. Senza questo assunto di base, l’intera impalcatura dei diritti dell’uomo crolla.
Il messaggio di Papa Francesco, a due giorni dall’anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, ci consente di intrecciarlo con quella carta fondamentale per la convivenza umana sul nostro pianeta. Infatti, possiamo affermare che senza il riconoscimento che la vita ci è data e che il perdono è un imprescindibile motore di giustizia sociale, tutti gli altri diritti si offuscano e alla lunga diventano evanescenti. Il perdono, infatti, non si ferma all’intimità personale: ha un’implicazione sociale dirompente. Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata della Pace, invita a «disarmare l’arma del credito». I debiti, siano essi finanziari, ecologici o morali, non devono diventare una forma di schiavitù moderna. C’è bisogno di un’economia fondata sul reciproco riconoscimento, sulla responsabilità condivisa e sulla solidarietà verso chi ha meno.Il Papa sogna un’economia capace di superare il paradigma del debito oppressivo, che blocca il cambiamento e soffoca le giovani generazioni. Il perdono, allora, non è solo un gesto morale, ma una rivoluzione concreta: significa immaginare un nuovo inizio, un futuro in cui le risorse del pianeta, le opportunità e i diritti siano condivisi con giustizia. Il Giubileo può costituire una soglia personale e storica, un nuovo inizio senza il peso del passato. La speranza nasce dalla possibilità del perdono. Nell’attuale scenario mondiale, attraversato da guerre, disuguaglianze e crisi ecologiche, il perdono rappresenta il primo passo verso una vera riconciliazione. Senza perdono, non può esserci pace. Significa accettare il passato senza lasciare che esso condizioni il futuro, come accade nel superamento del debito o nella lotta alla pena di morte. Il Papa ci ricorda che il perdono non cancella il male commesso, ma offre la possibilità di un nuovo inizio. È una sfida, certamente. Chi ha molto è chiamato a condividere, chi ha sbagliato è chiamato a riconciliarsi, chi ha subito è chiamato a disarmare il cuore.Senza l’esperienza del perdono – del perdonare e dell’essere perdonati – il messaggio di Papa Francesco resta inaccessibile. Il perdono non è debolezza, ma forza creatrice: è ciò che ci permette di andare oltre la logica della vendetta, dell’estraneità e dello sfruttamento. È la chiave per costruire relazioni autentiche, comunità solidali e un mondo più giusto.
Come ci insegnava quel mio amico sacerdote, il perdono è già lì, più grande di noi e delle nostre miserie. Ma per accoglierlo, dobbiamo chiederlo e darlo, aprire il cuore e lasciare che trasformi la nostra vita e, da questa, il mondo intero.