Il non detto di Vladimir Putin
venerdì 1 marzo 2024

Una delle leggi generali del putinismo, pseudo-scienza che sarebbe suonata familiare ai sovietologi d’antan, è più o meno questa: quando minaccia, Vladimir Putin ci sta dicendo qualcosa su cui vale la pena riflettere, sta lanciando qualche messaggio da considerare. Quando invece fa il benevolo bisogna preoccuparsi sul serio. Il discorso alla nazione di ieri, tenuto davanti al Governo e alle Camere riunite nel Gostiny Dvor accanto alla Piazza Rossa, ha rispettato il copione, soprattutto tenendo conto che il tono del discorso non poteva prescindere dalle ormai prossime e scontate elezioni presidenziali del 15-17 marzo. Così Putin un po’ ha fatto lo spot elettorale (perché, altra legge del putinismo, le elezioni si devono vincere almeno con il 70% dell’affluenza e il 70% dei consensi) e un po’ ha disegnato la Russia presente e futura, un po’ ha parlato ai russi e un po’ a noi. Per non sbagliare ha cominciato parlando di sé, con il plurale maiestatis, laddove ha detto «noi abbiamo già dimostrato di poter realizzare i più grandiosi obiettivi e di saper rispondere alle sfide più difficili. C’è stato un tempo in cui abbiamo respinto un’aggressione terroristica internazionale e difeso l’unità nazionale, impedendo che il Paese fosse fatto a pezzi». Un modo per ricordare ai russi lo spauracchio del separatismo ceceno, e di come lui seppe combatterlo, facendo un paragone nemmeno tanto nascosto che le attuali vicende ucraine. E per ribadire all’Occidente che la Russia è disposta a difendersi, e soprattutto che sa farlo.

Su questo duplice filone, interno ed esterno, si innestano anche i riferimenti alle armi atomiche che hanno fatto i titoli della stampa internazionale.

Poco citato il passo in cui Putin ha detto che l’arsenale atomico russo è stato rinnovato ed è pronto al combattimento. «Tutto ciò che avevamo annunciato nel discorso alla nazione del 2018 è stato fatto», ha scandito per la sezione spot elettorali. Ma dopo aver fatto l’elenco dei missili più potenti e terribili, ha strizzato l’occhio agli Usa sui temi della «stabilità strategica» e del dispiegamento di armi nello spazio, rivendicando anzi una bozza di accordo stilata già nel 2008 e, suo dire, ignorata dagli Usa.

Rientra in questo quadro anche la noncuranza, quasi lo sprezzo con cui il presidente russo ha liquidato la possibilità prospettata dal collega francese Macron (e di fatto respinta da ogni altro leader europeo) di dispiegare in Ucraina truppe di questo o quel Paese della Nato sulla base di accordi non collettivi dell’Alleanza ma bilaterali. «Abbiamo i mezzi per colpire obiettivi occidentali», ha minacciato Putin, lamentando che certe iniziative possano trascinare il mondo in una guerra nucleare e «alla fine della civiltà». Il messaggio di Putin è che parlare con l’Europa è inutile, la Russia vuole trattare solo con gli Usa ed è disponibile a immaginare con loro un accordo di sicurezza globale che riguardi l’intero pianeta e, ovviamente dal suo punto di vista, «includa tutti gli aspetti che riguardano i nostri interessi nazionali e la sicurezza del nostro Paese». È il solito vecchio sogno russo post-sovietico: trattare da pari a pari con la potenza americana e risuddividere il mondo in sfere d’influenza. Forse nel pacchetto Putin prevede anche un negoziato per fermare il conflitto in Ucraina, con Washington nel ruolo di mentore di Kiev.

Certo è che, sia ai russi sia a noi, Putin ha voluto mostrare il volto di una Russia forte, sicura di sé, che guarda avanti. Anche quando ha affrontato i punti critici, come la carenza di quadri professionali (senza menzionare il milione circa di giovani che hanno lasciato la Russia dopo il 24 febbraio 2022) o il crollo demografico, l’ha fatto parlando di ciò che è stato fatto, viene fatto o sarà indubbiamente fatto. Entro il 2028 un milione di tecnici per il settore hi-tech? Pronti. Gasificazione di tutte le regioni? Eccola. Espansione esponenziale della rete ferroviaria? Non mancherà. Non si è negato un tono da grande fratello benevolo, che butta un occhio nelle case dei russi ma solo per difendere i sacri valori della tradizione, primo fra tutti quello della famiglia: «Tra il 2018 e il 2022», ha vantato Putin, da tempo ossessionato dal declino demografico della Russia, «il numero delle famiglie numerose è cresciuto del 26,8%». E giù con l’elenco dei sussidi concessi a poveri, anziani, famiglie monoreddito e categorie varie, in una Russia dove, secondo le più recenti statistiche, oltre il 60% della popolazione dipende nel proprio ménage quotidiano dal rapporto con lo Stato, dai militari ai dipendenti pubblici, dai pensionati ai percettori di prebende assortite.

A saperlo guardare in trasparenza, il quadro che Putin ha tracciato della Russia odierna è piuttosto fedele, in ciò che è stato detto e soprattutto in ciò che è stato taciuto. Bisognerebbe invertire il rapporto, ma per qualche tempo ancora è difficile che succeda.

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