Caro direttore,le chiedo spazio per portare un contributo che nasce da un’esperienza di pochi giorni fa. Mia figlia di 13 anni festeggiava il suo compleanno insieme a 6 sue amiche: 3 italiane, 2 albanesi e una senegalese. Non perché lei sia buonista, come si sente spesso dire oggi, ma perché il mondo dei ragazzi nati sul finire del secolo scorso è anche questo. Mentre queste ragazze erano a casa mia, ho seguito, un po’ distrattamente, l’intervento del sindaco di Adro che alla televisione, rileggeva in versione italiana una lettera, mi pare, di un cittadino australiano che invitava gli stranieri approdati in Australia a guardarsi bene dal provare a mostrare le proprie identità nel Paese che li accoglieva. E mi è sembrato di capire, leggeva questa lettera come se nei nostri paesi tutti gli stranieri chiedessero di togliere i crocifissi dalle aule, piuttosto che di adeguare i menù delle mense scolastiche alle disposizioni delle proprie religioni e così via. La verità è che non si ha il coraggio di guardare in faccia una realtà che non è riducibile agli slogan, anche se ripetuti ormai da anni e che si sono incistati nella testa di molti producendo modi di pensare che, a mio avviso, non promettono nulla di buono. Piuttosto che continuare a guardare alla realtà con gli occhi dell’ideologia, occorre che, con razionalità, in primis il mondo politico, ma anche i mass media guardino, sulla base degli studi seri già a disposizione, le buone pratiche di normale inserimento di famiglie e singoli nei nostri paesi e nelle nostre città, dell’analisi anche delle situazione critiche; il fenomeno dell’immigrazione come una realtà normale da governare e da vivere anche come un’opportunità. Anche perché lo spostamento naturale delle persone verso i Paesi più avanzati si è sempre avuto nella storia. A questo proposito mi permetto di segnalare i contributi che il cardinale di Venezia, Angelo Scola, offre da tempo riflettendo sulla categoria del meticciato, da lui così definita in un’intervista a un settimanale cattolico: «Quando parlo di meticciato non intendo un progetto politico da perseguire, ma un processo storico in atto, che è sotto gli occhi di tutti; una congiuntura da orientare. Per me è un orizzonte esplicativo di una grande mutazione sociale in atto, che provoca il cristiano ad andare fino in fondo alla verità della propria esperienza. Accettare tale processo significa accettare la storia; senza rinunciare al proprio volto, alla propria identità, ma lasciandosi provocare a darsi e dare le ragioni del nostro essere cristiani. Il meticciato, lungi dall’abolire la nostra tradizione, ci costringe, invece, a giocarla nel presente, anche nel rapporto tra accoglienza e legalità. Che si debba accogliere lo straniero è fuori discussione; oltretutto sarebbe antistorico e privo di prospettive scegliere altrimenti. Il problema, casomai, è il come e il quanto. Ma ciò non può essere deciso a tavolino dalla politica, se non come estremo rimedio nel caso di grave emergenza. Questo rapporto dovrebbe essere costruito dalla società civile. Non è possibile, allora, che in nome della paura si cancelli quanto è parte essenziale della tradizione giudaica e cristiana circa l’ospitalità». Ecco cosa mi ha aiutato a comprendere meglio la festa dei tredici anni di una dei miei figli.
Giovanni Barbesino Vedano Olona (Va)
Lei ci ricorda, caro amico, che a volte non dovremmo preoccuparci d’altro che di rendere più profondo il nostro sguardo. Certi problemi epocali chiedono anche a noi italiani di tener saldi più che mai – come invitano a fare vescovi e sacerdoti – i valori che sono alla base della nostra cultura e della nostra fede. Non serve cambiare testa, basta cambiare occhi. Ma soprattutto, da cristiani, bisogna saper essere se stessi (e non è affatto poco).