Caro direttore,la Magistratura: un «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» nello Stato, insostituibile nelle sue delicate funzioni, indispensabile. Si pensa al giudice come a figura di competenza giuridica, di conoscenza dell’animo umano, di probità e di elevato equilibrio. E si vorrebbe che fosse sempre capace di ciò, testimoniandolo anche con la sua vita privata. Chi sceglie liberamente tale funzione, non può non tenerne conto. Che dire, perciò, di fronte alla giudice incaricata delle indagini sul terribile scontro dei treni avvenuto ad Andria e che appare in fotografie, mezza vestita, mentre l’avvocato difensore di uno dei principali indagati da lei, mima l’atto di “baciarle” le dita dei piedi? E che dire di fronte a 7 persone di Padova che presentano una denuncia fotocopia, ma il procuratore assegna ciascuno dei fascicoli a 7 giudici diversi per avviare 7 procedimenti, con tempi, modalità ed esiti differenti l’uno dall’altro? E poi si attribuiscono i tempi lunghi della giustizia italiana all’insufficiente numero di inquirenti! E che dire, ancora, del magistrato che indaga sui dipendenti di un ente adottando anche i primi provvedimenti, mentre i responsabili dello stesso ente, mai sentiti dal giudice, dopo un anno devono affidarsi esclusivamente ai giornali per apprendere qualcosa dell’indagine stessa? Oppure, dell’indagato che, dopo qualche anno di indagine, non sa e forse non saprà mai se la sua pratica è stata archiviata o se giace ancora, impolverata, su qualche scaffale in attesa di…? O del pm che indaga e adotta provvedimenti, senza avere mai sentito l’indagato? Si potrebbe continuare. Certo, a volte la non chiarezza legislativa non aiuta i magistrati, tanto è vero che essi ricorrono spesso all’interpretazione soggettiva. Potrebbero farlo anche per sveltire, semplificare, rendere più motivato e accettabile ciò che fanno. Forse, anche l’Anm e in particolare il suo leader, Pier Camillo Davigo, potrebbero apparire più prudenti nelle periodiche accuse a esponenti degli altri poteri dello Stato e invocare da coloro che vestono la toga atteggiamenti più responsabili, rispettosi ed efficaci.
Dino Scantamburlo
Non sono abituato a giudicare dalle apparenze e tantomeno i giudici. E so che lei, gentile amico, anche per le sue ancora recenti responsabilità di rappresentanza politica, ama pesare le parole pur mettendo in fila, in questa lettera, una serie di sconcertanti casi emblematici. Mi limito solo a dire che da anni aspetto con fiducia pari all’impazienza una vera riforma tesa a ridare alla nostra Giustizia l’efficacia che tutti noi – cittadini, imprenditori e lavoratori – meritiamo.
Marco Tarquinio