Ugo Apruzzese, Milano
Caro direttore,oggi (ieri, lunedì 27 settembre) stavo assistendo alla prima puntata della nuova serie de "Le Storie", trasmissione di Rai3 condotta da Corrado Augias e subito ho "dovuto" spegnere la televisione per la rabbia nel sentire il conduttore prendersela con le donne incinte perché al giorno d’oggi fanno ancora figli, considerato che siamo sulla terra – secondo lui – «quasi dieci miliardi». Due volte scriteriate queste madri che si permettono di fare figli malgrado – sempre secondo lui – sia peggiorata la situazione di vita sulla terra. È vergognoso che tali conduttori, pagati profumatamente, si permettano di fare certe gratuite considerazioni in trasmissioni del servizio pubblico televisivo. Sono davvero indignato.Massimo Caputo
Capisco sconcerto e indignazione, cari amici, e li condivido. Ma non riesco proprio a sbalordirmi. Per il genetista e antropologo Luigi Luca Cavalli Sforza gli esseri umani sono infatti «specie prepotente» (lo argomenta da sempre e ci ha appena scritto un libro su). Il professore è, poi, tra coloro che non alzano neanche un sopracciglio davanti a quegli altri "studiosi" che non esitano a definire l’umanità un esercito di «scimmie assassine». Per lui e per Corrado Augias – e ieri ce lo hanno ripetuto dagli schermi di Rai3 – uomini e donne sono «spaventosamente» troppi. Perché, ci hanno spiegato, siamo «quasi 10 miliardi». Non è così, siamo all’incirca 6 miliardi. Sei miliardi di persone affratellate – diciamo noi cristiani – dalla nostra umanità (che, per tornare a certe scimmiesche presunzioni, nella "logica dell’assassinio" si nega e non certo si afferma...). O, se si vuole, siamo «6 miliardi di Altri», come sino a domenica scorsa (26 settembre) raccontava per immagini e voci una straordinaria mostra-progetto sulle differenze che ci raccontano e ci uniscono (ospitata ai mercati di Traiano di Roma e realizzata del fotografo e ambientalista Yann Arthus-Bertrand).Ma tant’è, per certuni l’umanità è una sorta di malattia della Terra. E la cura sta nel non fare figli. Augias l’ha detto, al solito, in modo soave nella forma e durissimo nella sostanza: «Ogni volta che vedo una ragazza incinta non manco di ricordarglielo: "Lei lo sa che siamo quasi 10 miliardi?". Mi rispondono: "La vita deve andare avanti". E io: "Ma in quali condizioni?"». Che tristezza immaginare e predicare che la soluzione al problema della vita sia non darla. In un mondo che, ovunque ormai, invecchia (perché si muore di meno) e fa sempre meno figli (perché persino nei Paesi in via di sviluppo gli indici cominciano a scendere) qualcuno non trova di meglio che sgridare le donne e madri. Per strada e in tv. E racconta, come fa Cavalli Sforza, che i cattolici (anzi «i fideisti cattolici») dicono di far figli per una sorta di politica di potenza, per esserci ed essere di più. Meglio non esserci, invece. Meglio sparire per riequilibrare così – come suggerisce Augias – il troppo di umanità che c’è sulla faccia della Terra, per far posto agli altri. Ma siamo tutti «altri» e siamo tutti «noi». E a nessuno di questi signori del video e della scienza riesce di spiegarci perché noi italiani dovremmo continuare a essere la deliberata e sconsolata «avanguardia» di un mondo che sceglie il suicidio demografico. La verità è un altra: non c’è un’umanità da riequilibrare e a cui rinunciare, ma un’umanità da equilibrare e far trionfare. Serve più umanità – quella vera – che si trasmette e cresce di madre in figlio, di padre in figlia.