Ogni nome è un destino. E ancora una volta papa Francesco, nel momento forse più drammatico del suo pontificato, incrocia il nome e l’opera di san Francesco. Dinanzi alla violenza delle armi in Ucraina, ai primi morti civili, al numero crescente di sfollati e di migranti in fuga, il Papa espone il suo dolore al mondo, precede e accompagna il cammino di chi cerca e sceglie la pace e si rivolge «a quanti hanno responsabilità politiche» perché «facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio». E dando seguito a questo appello, e nel pieno di un’escalation militare, con un gesto che non ha precedenti, venerdì 25 febbraio si è recato personalmente nell’Ambasciata russa presso la Santa Sede.
Non ha convocato l’ambasciatore, ha bussato alla sua porta. Con il presidente ucraino, sotto le bombe nella sua capitale Kiev, il Papa ha invece tenuto annodato il filo di un dialogo via telefono. L’appello di papa Francesco non può non ricordare la 'Lettera ai reggitori dei popoli' di Francesco d’Assisi. Essa presenta temi e toni tipicamente francescani che appaiono strettamente connessi al messaggio di oggi sulla crisi ucraina.
La lettera del Santo era e resta indirizzata a «tutti i podestà, a tutti i consoli, giudici e rettori del mondo intero come a tutti gli altri a cui il documento può pervenire». Rivolta dunque a coloro che sono ai vertici della gerarchie politiche e intellettuali, essa mette in guardia dalla tentazione del potere, rammentandone il valore mondano e transeunte dinanzi al Regno di Dio. Ma soprattutto – ed è qui a nostro avviso il significato più attuale – ricorda ai reggitori del mondo che il popolo è loro «affidato ». Essi rappresentano il popolo e hanno il dovere di prendersene cura. La volontà di potenza, gli interessi economici e di parte non devono far mai dimenticare ai governanti che è il popolo a essere sovrano. 'Come sta il popolo?'.
Dovrebbe essere questa la prima domanda di un politico. Ed è la domanda oggi più disattesa. Nella sua recente intervista alla tv italiana (Rai3, 'Che tempo che fa') papa Francesco ha riconosciuto l’onestà e la responsabilità di alcuni leader mondiali, ma non ha nascosto le difficoltà in cui si trovano quando devono quotidianamente mediare con lobby e gruppi d’interesse sempre più forti, che hanno di mira soltanto profitto e mero potere. L’appello per la pace allora assume così un significato teologico- politico, come spesso papa Francesco ci ha abituato. Rivolto a «credenti e non credenti », invita a una preghiera e a un digiuno comune per mercoledì 2 marzo, giorno delle Ceneri. «Gesù – ricorda il pontefice – ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno».
È la più grande arma cristiana – la preghiera –, come in una recente conversazione mi ricordava il cardinal Bassetti citando Giorgio La Pira: «Più potente di una bomba atomica perché arriva dritta al cuore di Dio». E se pregare è «interrogarsi sul senso del mondo», la speranza è che questa preghiera interroghi profondamente le coscienze di quei «reggitori del mondo» sul significato ultimo dell’esistenza umana. Senso tutto riassunto in due parole. Le più dolci delle parole di san Francesco: Pace. Bene. Pace e bene. Con la speranza, ripresa dal Papa, che «la Regina della Pace preservi il mondo dalla follia della guerra ». Avventura senza ritorno.