Il pericolo rimane per gli anziani, i fragili e i non-vaccinati, ma le ospedalizzazioni e i decessi sono rientrati nella “normalità” Emergenza finita, attenzione comunque alta - Ansa
Alzi la mano chi ricorda che, sì, c’è stato un tempo in cui ci si contava il sabato sera prima di sedersi a tavola insieme a mangiare una pizza. Per entrare al ristorante occorreva mostrare il Green pass e indossare la mascherina, rigorosamente Ffp2, finché il piatto non era servito. La stessa mascherina senza cui era impossibile andare ovunque: al supermercato, dal panettiere, al cinema. E poi le file per i tamponi in farmacia, la conta dei giorni in quarantena, lo studio dei nuovi e sempre diversi Dpcm. Sembra trascorso un tempo infinito da quando il Covid era emergenza nazionale, e non solo il primo Covid, quello di Wuhan, che ci ha chiuso in casa mesi e ci ha fatto temere che tutto fosse finito, per chissà quanto tempo. In questi giorni i media ripercorrono le tappe di quanto accaduto tre anni fa, nel 2020: i primi casi a Roma (era fine gennaio), il paziente zero a Codogno (Mattia, si chiamava, e fu ricoverato il 20 febbraio), il grande lockdown (incominciato domenica 8 marzo). Ma appena l’anno scorso, sempre a febbraio, lottavamo ancora contro la misteriosa, contagiosissima variante Omicron, certi che nemmeno i vaccini sarebbero bastati. E che tutto sarebbe ricominciato daccapo.
Non è andata così. La fase di endemizzazione del virus – quella che in gergo più popolare è stata ribattezzata “di convivenza” – non ha fatto in tempo ad essere evocata che già il mondo, e l’Italia con lui, del Covid aveva deciso di liberarsi: una scelta unilaterale all’inizio, nel 2021, con gli stadi stracolmi di tifosi agli Europei di calcio e le Olimpiadi, con l’estate della liberazione e la marcia a tappe forzate di abolizione delle restrizioni. Il tutto mentre l’Occidente (e solo lui) si vaccinava a tappeto e il Covid ancora impazzava. Finché nel corso del 2022 si è tolta anche da noi la mascherina al chiuso, il Green pass è stato cancellato, le scuole hanno riaperto in presenza senza se e senza ma (decisioni del governo Draghi). E poi è stata abolita la conta quotidiana dei casi e dei morti, riabilitato chi il vaccino l’aveva rifiutato anche tra i medici, sono state sospese le multe (decisioni più recenti, e molto più discusse, del governo Meloni). In una parola, si è tornati alla normalità.
Vaia: non è più la stessa malattia, ora dovremmo chiamarla Covid-23. Ma vacciniamoci ogni anno. Clementi: l’ultima variante è “addomesticata“. Attenzione però: altri agenti patogeni possono arrivare dagli animali, dobbiamo essere pronti
Quello che nel frattempo accadeva al virus però ci è, per lo più, sfuggito. I bollettini del ministero della Salute hanno continuato a offrirci una fotografia soltanto parziale dell’andamento reale dell’epidemia (viziata dall’andamento troppo variabile dei tamponi effettuati e dai dati forniti in modo disordinato e disomogeneo dalle Regioni), il monitoraggio settimanale dell’Istituto superiore di sanità a inquadrare la situazione una settimana dopo rispetto a quella in corso (ciò che assomiglia a un’era geologica in tempi di pandemia), il sequenziamento dei campioni a confermare la diffusione delle nuove varianti già in atto nel Paese (più che ad anticiparla e consentire di prevenirla). Fino ad oggi, quando a livello nazionale tutti gli indicatori sono in costante, drastico calo e la domanda che sempre più insistentemente ci si pone, tra esperti e non esperti, è: ma il Covid se ne sta andando? Sta scomparendo? « I numeri relativi agli ospedali ci dicono che i posti occupati in terapia intensiva da pazienti Covid in questo momento sono 179, molto vicino ai minimi osservati in alcuni (pochi giorni) di settembre 2022 (pari a 125) e molto lontano dai circa 1.500 posti occupati a inizio febbraio 2022», osserva Antonello Maruotti, che è Ordinario di Statistica presso l’Università Lumsa di Roma e da sempre analizza nei numeri il reale andamento della pandemia.
«Il medesimo andamento lo si ha per le ospedalizzazioni nei reparti ordinari: attualmente i posti occupati sono 3.712, non lontano dal minimo degli ultimi 12 mesi registrato a settembre (3.293 posti occupati) e lontanissimi dai 19mila del 4 febbraio 2022». Per quanto riguarda i decessi, «l’ultima settimana ha registrato due dati anomali ed elevati. Tuttavia, anche questo indicatore non desta preoccupazione (al netto del fatto che la gente muore ancora e continuerà a morire di Covid)». Questo perché il virus esiste, ci accompagna, e «non arriveremo mai a zero Covid in relazione al contagio. Possiamo dire, tuttavia, che non siamo lontani allo zero Covid in termini di gravità, con gli indicatori ospedalieri che continueranno a scendere, a meno di nuove varianti che al momento però non sono ancora osservate».
Ricciardi resta molto prudente: è un errore enorme l’aver rimosso la pandemia in corso dalla coscienza collettiva, ora è considerata una responsabilità individuale. Dovremmo insistere di più sulle immunizzazioni
Francesco Vaia, direttore generale dell’Istituto nazionale Malattie infettive Spallanzani di Roma – la struttura che per prima ha accolto i pazienti positivi nel 2020 e isolato il ceppo del virus in Italia – non usa invece mezzi termini: «Il virus che abbiamo incontrato nel 2020 non esiste più. Da tempo ormai ripeto che non dovremmo più nemmeno chiamarlo Covid-19 – spiega –. Ho proposto provocatoriamente la dicitura “Covid-23” perché ci troviamo in una fase completamente diversa rispetto a quella iniziale: oggi, cioè, incontriamo una malattia che si manifesta prevalentemente nelle vie aree superiori, come un’influenza, e che può essere pericolosa solo in persone molto anziane, con patologie croniche già acclarate, o in pazienti non vaccinati». Le giornate in prima linea in ospedale, d’altronde, gli danno ragione: « In una struttura dove raccogliamo pazienti da tutta la regione contiamo oggi appena 6 pazienti con complicazioni da Covid in rianimazione. Ed è sulla base dei numeri che da sempre, non solo adesso, avremmo dovuto capire con che cosa avevamo a che fare, non su quella degli allarmismi troppo spesso lanciati senza evidenze cliniche e scientifiche». Vaia, nell’infinita diatriba tra gli esperti su come il Covid andasse trattato, è stato da subito nel partito dei “realisti”: «Niente panico, fiducia nella scienza e nei vaccini, decisioni meno impattanti sulla vita sociale delle persone» sintetizza, sottolineando di essere ancora scandalizzato per la chiusura delle scuole e la loro riapertura «senza che nulla sia stato fatto per metterle in sicurezza, tranne raccomandare agli insegnanti di tenere aperte le finestre ». Ma tornando al virus, «siamo davvero nella primavera della rinascita: abbiamo guadagnato la libertà di cui oggi godiamo, dobbiamo mantenerla vaccinandoci ogni anno, con una profilassi che al più presto possa proteggerci da tutti i coronavirus, non solo da questo. E dobbiamo guardare oltre la pandemia, per cercare di risolvere i problemi strutturali: ciò per cui servirebbe un tavolo interdisciplinare ed interministeriale da istituire presso Palazzo Chigi».
Di un virus che esiste ancora, ma che è così cambiato da non doverci fare più nessuna paura, parla il virologo e per molti anni direttore del laboratorio di Microbiologia dell’ospedale San Raffaele di Milano Massimo Clementi: «Il Covid da questo punto di vista non si è comportato diversamente dagli altri coronavirus che abbiamo incontrato nel corso della storia». Dalla prima piccola pandemia di Sars scoppiata tra il 2002 e il 2003 che uccise l’indimenticato Carlo Urbani fino a quella di Mers del 2013 «questi virus ci hanno mostrato che possono scomparire del tutto oppure rimanere con noi in forma, per così dire, addomesticata. Vale a dire caratterizzati da una patogenicità inferiore». È quello che è accaduto lentamente al Sars-Cov-2, «visto che sono passati tre anni prima di arrivare alla variante Omicron, ovvero in buona sostanza a una forma influenzale che coinvolge le vie aeree superiori – spiega l’esperto, ricordando il sollievo nell’aver osservato le prime sequenze del “nuovo” virus in laboratorio –. A trasformarlo, la pressione selettiva esercitata in forma mista dai vaccini e dall’immunità naturale acquisita attraverso i contagi, a causa della quale il Covid si è dovuto via via comprimere in varianti sempre meno gravi ». Ma è una battaglia vinta, avverte Clementi, non la guerra: «I virus, tutti, arrivano all’uomo dal mondo animale e fanno danni: la loro tendenza allo spill-over, ovvero alla tracimazione nella specie umana, è ciò con cui dobbiamo fare i conti. Questo passaggio può non avvenire mai, o avvenire senza conseguenze, i virus possono rimanere come innocui compagni di viaggio, oppure andarsene. Ma ne arriveranno altri». Il punto vero allora, che poi è la lezione che il Covid dovrebbe averci insegnato, «è monitorare l’interfaccia tra natura e uomo da dove potrebbe partire la prossima pandemia. Dobbiamo essere vedette attente – continua Clementi –. Gli animali vanno studiati e i comportamenti umani vanno controllati e modificati».
Considera invece «un errore enorme» l’aver rimosso la pandemia in corso dalla coscienza collettiva Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma: « Il Covid non è affatto scomparso, la sua circolazione è ancora intensa e la mortalità elevata – spiega l’esperto, da sempre convinto sostenitore di misure di controllo rigorose per arrivare al traguardo del “Covid-zero” –. Ciò che è cambiato è che il virus non è più considerato una responsabilità sociale, ma individuale». Risultato: è vero che la variante Omicron «ha una penetrazione minore nelle vie respiratorie e che il problema si è attenuato grazie alle vaccinazioni, ma la sua patogenicità risulta ancora elevata nelle persone più anziane, fragili e in quelle non vaccinate, come ci dimostra quello che sta accadendo in Cina. E queste persone sono state abbandonate a se stesse».
Dimenticarsi del Covid, d’altronde, significa anche dimenticarsi dei vaccini «per cui dovrebbe continuare invece una campagna di sensibilizzazione pubblica attiva ». Niente di più lontano da quello che sta avvenendo nel Paese, dove – non è un caso – le immunizzazioni sono crollate fino al minimo storico di settimana scorsa: poco più di 3mila.