Caro direttore,
leggo anche oggi, giovedì 16 febbraio, su “Avvenire” di «Quattro naufragi tra Libia, Tunisia e Spagna con 146 morti». Certo, i morti non si possono intervistare, ma possibile che i giornali che seguo quotidianamente non si preoccupino invece di sentire coloro che ce l'hanno fatta ad attraversare il Mediterraneo ponendo alcune semplici domande: «Lei sapeva prima di partire che avrebbe rischiato la vita?», « Lei sapeva che avrebbe dovuto pagare profumatamente dei delinquenti per salire su un'imbarcazione precaria e pericolosa?», «Non era meglio condurre una vita difficile nel suo Paese piuttosto che rischiare di finire in fondo al mare e di diventare schiavo di altri farabutti nelle campagne italiane?». Tutti parlano di migrazioni, con accenti ovviamente diversi, ma i migranti non hanno mai la parola. Eppure chi, meglio di loro, può spiegarci perché hanno attraversato prima il deserto e poi il Mediterraneo sottoponendosi volontariamente al rischio della vita? Con i più cordiali saluti.
Giancarlo Maculotti, Cerveno (Bs)
Le domande che lei, gentile e caro lettore, idealmente rivolge a coloro che si assoggettano alla traversata a rischio di deserti, Paesi ostili e mari minacciosi e troppo volte letali sono domande intelligenti, ma apparentemente – posso sbagliarmi – animate dalla convinzione che i pericolosi itinerari verso l’Europa di profughi ed emigranti siano intrapresi da molti di loro tutto sommato alla leggera. Sono anni che documentiamo il contrario e che poniamo domande dirette alle persone come noi che non possono viaggiare il mondo come noi perché sono originarie di Paesi catalogati di “serie B” e per di più hanno la pelle scura… Il rimedio ai “viaggi delle morte” è molto semplice: strade e ponti dell’umana dignità, cioè percorsi alla luce del sole, regolari, regolati e controllati, ma rispettosi per ogni essere umano, non solo per noi che possiamo programmarli e intraprenderli senza eccessive complicazioni perché abbiamo avuto la grazia (non meritata, ma ricevuta in dono) di nascere in una delle terre che stanno dalla “parte giusta del mondo”. Questo, come ho e abbiamo argomentato molte volte, non vuol dire che non devono esserci regole, ma che non devono esserci regole disumane che diventano, esse, concausa determinante dei “viaggi della morte”. Ricambio il suo cordiale saluto.