Abbiamo fallito con i vecchi americani, nel tentativo di non far tenere le armi in casa, ma ci stiamo riuscendo con i giovani, quelli che han fatto la grande manifestazione di Washington: uno di loro, come ricordava questo giornale, al poliziotto che voleva fermarlo ha risposto: «Càlmati, non facciamo niente di male, cerchiamo soltanto di cambiare il mondo». È una rivoluzione.
L’ultima grande strage in una scuola ha spaventato le famiglie. Le madri pensano ai figli, le nonne ai nipoti, e si chiedono: «E se nella classe dei nostri ragazzi un compagno diventa pazzo, che succede?». Risposta: può uccidere chi vuole. Troppo facile avere armi. La manifestazione giovanile di Washington dice: "Mai più stragi come questa". Mai più stragi vuol dire mai più armi. Ho due nipoti nati e viventi a Los Angeles, sono usciti dalla scuola media inferiore, entrano nella superiore, e manifestano per le strade alzando cartelli con su scritto: «Enough is enough», basta vuol dire basta. Abitano nella zona delle colline, piena di casette. Quando vado a trovarli, passeggio per le strade e guardo.
Mi piace in particolare una villetta solitaria, con un microgiardino intorno della profondità di tre metri, che ha un cartello infilzato per terra con la scritta: «Attenzione! Non mettere un piede qui, risposta armata». Forse ne ho già parlato, perché per me è un’ossessione: se calpesti il giardino di una casa, dalla casa ti possono sparare. Clint Eastwood, del quale non metto in discussione la genialità che è intelligenza, lo spiega con orgoglio: «La mia casa è sicura perché è difesa dal mio fucile».
È una logica: la difesa, ognun per sé. L’altra logica è: la difesa, lo Stato per tutti. L’America adotta la prima logica. La giovane generazione preme perché si passi alla seconda. La grande adunata di Washington è un’accelerazione. Ma la pressione viene da tutto il mondo, giornali stranieri, cinema straniero, istituzioni, Papa in testa. I giovani che hanno manifestato a Washington alzavano cartelli sorprendenti. Uno diceva: «Vogliamo un mondo senza pistole».
Ci ho pensato molto. I ragazzi chiedono: c’è proprio bisogno di pistole? Certo che se hai un esercito devi avere dei fucili, ma le pistole sono un’altra cosa. I soldati non hanno pistole, hanno fucili. Gli ufficiali non hanno fucili, hanno pistole. Le pistole sono un’arma da repressione, per tener l’ordine. I manifestanti di Washington manifestavano contro le armi da repressione.
Un altro studente alzava un altro cartello: «Se usi il kalashnikov per cacciare un cervo, fai una caccia sbagliata». Perché usi un’arma da guerra per fare uno sport. In America non sono pochi che tengono in casa armi da guerra. Cioè armi a lungo tiro o a frequenza rapida, praticamente automatica. Né la difesa della casa né la caccia chiedono queste doti alle armi. Se compri di straforo armi con queste doti, o se compri armi normali ma poi le modifichi perché abbiano queste doti, non vuoi praticare la difesa dell’abitazione o la caccia alla selvaggina, tu in realtà vuoi fare il soldato e combattere un tuo personale Vietnam. Il diritto di tenere armi in casa diventa, sforzandolo un po’, il diritto di fare il soldato di prima linea.
Le controversie, che ogni esistenza terrena affronta quotidianamente, le puoi regolare sparando. Se fa così il padre, può fare così il figlio. Se fa così Clint, possono fare così i suoi ammiratori. Se uno studente fa così in una scuola del Vermont, un altro studente può fare così in una scuola della Virginia. Tanti ragazzi sono morti nella strage di Columbine, tanti nella scuola elementare di Sandy Hook, tanti a Virginia Tech. E noi abbiamo sempre perso la nostra battaglia. Invece di bloccare le armi nelle scuole, il presidente Trump invita ad armarsi anche i professori. Il potere dall’alto non ci aiuta.
Ma ecco la svolta dal basso, la manifestazione di Washington: è più importante questa manifestazione o un decreto del governo? La manifestazione. Perché è fatta da giovani. La generazione delle armi prima o poi se ne va. E tutto cambia.