I non nati uguali ai nati principio da cui ripartire
sabato 18 giugno 2022

Gentile direttore,

ho seguito su 'Avvenire' e in varie chat il dibattito sulla legge 194, riacceso dopo la recente manifestazione per la vita a Roma. Ritengo doveroso – in quanto presidente del Movimento per la Vita italiano – esprimere brevemente la mia opinione a riguardo. Ritengo innanzi tutto che debbano essere fatte delle distinzioni di piani. Partiamo dal piano che valuta la legge per quello che realmente è, collocandola nel contesto storico che l’ha partorita, studiandone l’articolato sotto il profilo tecnicogiuridico, prendendo in esame le spinte culturali che ne costituiscono lo 'spirito'. Da questo punto di vista non ho alcun dubbio circa l’intrinseca complessiva iniquità della legge, cosa del resto da sempre ribadita dal MpV. In ogni caso, gli obiettivi principali da mantenere a ogni costo sono quello di salvare i bambini non nati insieme alla giovinezza delle loro mamme e quello di gettare ponti per il dialogo. Di qui una lettura della 194 che non chiude il discorso, bollandola come ipocrita e perversa, ma apre una pista di riflessione evidenziandone l’'inquietudine': sull’inquietudine si può lavorare, si può dialogare, possiamo incontrarci. Ma la legge resta insincera.

Capisco bene l’appello alla 194 per arginare la Ru486 e le varie derive sulla vita nascente, ma da qui a dire che il problema della 194 è l’applicazione delle 'parti buone', oppure da qui ad arrivare a sganciare le attuali offese alla vita dal germe contenuto nella 194 c’è una bella differenza. Nel sentire comune il giudizio sulla legge si traduce facilmente in giudizio sul fatto disciplinato dalla legge: il giudizio legale diviene giudizio morale e di conseguenza viene distrutto «l’ultimo baluardo della vita»: la coscienza. È doveroso dunque ribadire l’ingiustizia della legge. Ma questo non basta, perché bisogna poi cercare di cambiare le cose. Come?

E qui interviene il secondo piano di riflessione: quello della opportunità politica, nel contesto contingente, di proporre modifiche dirette sulla legge. Forse adesso fare una battaglia frontale sulla legge rischia di essere controproducente: preme il dibattito sul fine vita e non ci sono numeri rassicuranti in Parlamento, dove addirittura rimettere in discussione la 194 potrebbe condurre a peggiorarla. E allora? Allora, non rassegnarsi e non assuefarsi alla «cultura dello scarto», che passa anche attraverso la legge sull’aborto, significa anche trovare vie diverse per far guadagnare terreno al diritto alla vita dei bambini non nati.

Il linguaggio della modernità è quello dell’uguaglianza e dei diritti dell’uomo. Perciò, per quanto difficile e lunga sia la strada, coerenza vuole che ci impegniamo a introdurre nell’ordinamento giuridico italiano, nell’art. 1 del Codice civile, il principio per cui i non nati sono uguali ai nati, in modo che tutti, proprio tutti, fin dal concepimento siano riconosciuti dotati di soggettività giuridica. Questa riforma influirebbe sulla interpretazione della legge 194 (eliminandone le equivocità) e impedirebbe il degrado delle coscienze. Un altro spunto viene dalla diffusa preoccupazione dell’inverno demografico e dalla conseguente preferenza per la nascita: come non riflettere sul numero sconfinato di bambini cui viene impedito legalmente di nascere? Proviamo dunque a rendere possibile una trasformazione dell’intervento consultoriale previsto dalla 194 non come strumento per verificare l’autodeterminazione della donna, ma come il mezzo per tutelare la vita del figlio insieme alla sua mamma. Mi paiono queste le vie realisticamente percorribili per rompere il silenzio sulla vita nascente, rafforzare il coraggio dell’accoglienza delle madri e delle famiglie, tenere sveglie le coscienze.

Presidente Movimento per la Vita italiano

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI