Gentile direttore,
ho letto l’articolo pubblicato su “Avvenire” nell’edizione di mercoledì 1 novembre, a firma del sacerdote Ennio Stamile, referente regionale di Libera Calabria, dal titolo «Chiara inconciliabilità. Chiesa e Massoneria lo “scandaloso” dialogo» e vorrei cogliere l’occasione per argomentare alcune riflessioni; ovviamente dal nostro punto di vista di liberi muratori del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, su una vicenda, quella dei rapporti più o meno inconciliabili fra Chiesa e Massoneria, che va avanti sine die da secoli. E che sicuramente continuerà ad alimentare il dibattito teologico e non solo chissà ancora per quanti altri secoli. L’appuntamento organizzato dal Grande Oriente d’Italia a Siracusa ed al quale parteciperanno insieme al vescovo di Noto, monsignor Antonio Staglianò e monsignor Maurizio P. Aliotta, i Gran Maestri aggiunti Santi Fedele e Sergio Rosso, nasce col preciso intento di favorire un dialogo in cui, senza pregiudizi e invasioni di campo, senza dogmatismi e accuse, mantenendo ognuno il proprio ruolo, si possa discutere serenamente pur mantenendo le diverse visioni e le distanze. Posso subito rassicurare padre Stamile su un punto: la Libera Muratoria non deve convincere nessuno. Nessuna idea strumentalizzatrice, quindi, e nessuna voglia allo stesso tempo di finire strumentalizzati o colpevolizzati. Ognuno dica chiaramente il proprio punto di vista e, con tolleranza, virtù della quale noi massoni facciamo continuo e saggio esercizio, rispetti quello degli altri. Di certo la Massoneria non potrà mai e poi mai avallare dogmi e assiomi fideistici che sono lontani dalla sua ultrasecolare Tradizione. A costo di continuare a essere tacciata di relativismo. Con padre Stamile, concordo su un punto, quello del dialogo. Lo scrissi qualche anno fa anche al cardinale Gianfranco Ravasi dopo un suo articolo che aveva il tenore di una possibile apertura e di un invito a Iparlarsi. Quella del dialogo è l’unica via percorribile fra Istituzioni che operano per il bene dell’Umanità e la fratellanza. Noi, infatti, lasciamo ciascun fratello libero di credere nella propria religione. Se dopo Siracusa, Chiesa e Massoneria saranno più vicine o sideralmente più lontane lo diranno gli eventi e i comportamenti. Da parte nostra, e approfitto di questa lettera per ribadirlo, non c’è pregiudizio. Forse più nell’ambito ecclesiastico serve ancora una dose massiccia di coraggio per superare gli stereotipi con cui ancora viene vista la Massoneria, superare la paura di parlarsi intellettualmente ed essere pronti ad intraprendere anche dei percorsi comuni sulle cose che avvicinano più che su quelle che sembrano insormontabili o inconciliabili. Oltre che la teologia bisogna anche sapere usare la ragione e il cuore. Noi massoni siamo uomini del dialogo e siamo pronti a dimostrarlo ancora una volta e senza condannare o scomunicare nessuno.
Stefano Bisi Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia
l dialogo è sempre un bene, gentile dottor Bisi. E io, un po’ per indole e molto per maturata convinzione, sono tra quanti lo perseguono anche con coloro che appaiono (poco o tanto) lontani dai miei valori di riferimento o anche solo dalle mie personali opinioni. Proprio per questo ho apprezzato molto, e ho pubblicato con evidenza su “Avvenire”, la riflessione che mi ha inviato don Ennio Stamile sul pubblico confronto tra due illustri teologi e altrettanti esponenti di spicco del Grande Oriente d’Italia, la comunione massonica di cui lei è oggi massimo esponente. Capisco bene perché alcune argomentazioni del sacerdote calabrese, impegnato sia nel servizio ecclesiale sia nella battaglia civile di Libera contro ogni “oscuro potere”, l’abbiano indotta a inviarmi questa lettera. Spero che, anche per la sua esperienza professionale di giornalista, mi capirà e perdonerà per averla dovuta leggermente ridurre, ma noterà che ho rispettato il cuore del suo ragionamento. Per gli stessi motivi di spazio mi limito, qui, a due rapide annotazioni. La prima è una presa d’atto: noto che, alla sua maniera, lei ribadisce l’attualità delle ragioni di «inconciliabilità» tra sguardo cattolico e visione massonica: «Mai e poi mai... », scrive, a proposito dei cardini della fede professata da un miliardo e trecento milioni di cattolici. È questo che inesorabilmente “scomunica”: se non si condivide l’essenziale, non si è parte di una comunità... La seconda è un augurio che colgo: un pubblico dialogo tra portatori di punti di vista (e modi di proporsi) così differenti è un segno buono. Tutto ciò che, con onesto e semplice coraggio, avviene con rispetto, chiarezza e alla luce del sole lo è. P.S. Sono curioso di vedere se nel dare conto del piccolo dialogo epistolare con me, gentile dottor Bisi, lei stavolta riterrà utile far menzionare dal sito del Goi pure la mia risposta. In occasione del nostro primo scambio di lettere su “Avvenire” del 16 luglio 2016 («Massomafia, la massoneria protesta. Ma è realtà antica e problema vero ), questo invece non è avvenuto. La cosa mi ha colpito e un po’ sorpreso. I cattolici ascoltano la voce di tutti e, quando è il caso, per quanto possibile la ospitano, dando spazio a ragioni diverse dalle proprie. Anche i massoni – che lei definisce attenti fautori della tolleranza e propone come veri cultori del confronto – non dovrebbero essere da meno. È nelle piccole cose che si mettono alla prova i grandi propositi... o no?