Vi era un mondo nel quale era naturale battezzare i figli, andare a Messa la domenica, sposarsi in chiesa, dire il Rosario nel mese di maggio… Allora poteva sembrare sufficiente rendere consapevole ciò che si viveva per tradizione, e a questo scopo assolveva il catechismo, spesso chiamato 'scuoletta'. Oggi, i giovani che non si sposano più (in Chiesa), che si chiedono se valga la pena dare i sacramenti ai figli, che disertano le celebrazioni religiose, dicono che quel mondo non c’è più. Osservando i comportamenti religiosi dei
Millennials – e spesso anche dei loro genitori – si potrebbe concludere che la fede di un tempo ha lasciato il posto all’incredulità o quanto meno a un’indifferenza diffusa e tranquilla: senza polemica e senza conflitto. Eppure l’ascolto della generazione giovanile dice altro: rivela una sensibilità religiosa che non si è spenta e che si esprime attraverso forme così diverse dal passato da risultare irriconoscibili a chi è cresciuto e vissuto nella tradizione cattolica: incerte, confuse, solitarie, eppure profonde e sensibili.Lo rivela la ricerca dell’Istituto Toniolo sulla religiosità dei giovani, da poco pubblicata nel volume
Dio a modo mio: dall’indagine emerge un mondo giovanile sospeso tra passato e futuro; in esso permangono alcune poche - abitudini, pensieri, comportamenti acquisiti dalla religiosità di un tempo, ma dove si affacciano desideri, ricerche, esigenze inedite, che faticano a esprimersi in forma adulta e a trovare nella comunità cristiana spazi e parole per collegarsi alla tradizione e a evolvere verso modelli di vita cristiana nuovi e maturi. L’indagine è stata condotta attraverso 150 interviste approfondite, realizzate a un campione nazionale di giovani appartenenti a due fasce di età: 19-21 anni e 27-29, età di ingresso o di uscita dalla condizione giovanile e ha riguardato tutti i grandi temi che si intrecciano nella coscienza religiosa di giovani cresciuti e vissuti in un contesto di cristianesimo diffuso: Dio, Gesù Cristo, la vita cristiana, il rapporto tra la fede e le grandi domande dell’esistenza, la Chiesa, la preghiera, i sacramenti, le altre religioni, le figure di riferimento. Ne è emerso un profilo spirituale molto interessante e per niente scontato. I giovani intervistati, nella stragrande maggioranza, dichiarano di credere in Dio; un Dio che non prende il volto di Gesù di Nazareth: perché i giovani parlino di lui occorre che vi siano condotti, sollecitati… Quello dei giovani è un Dio anonimo, un’entità astratta che tuttavia essi avvertono come vicino, capace di non far sentire mai soli coloro che credono in Lui. A questo Dio ci si può rivolgere in ogni momento dentro la propria coscienza: non c’è bisogno né di Chiesa né di riti per pregare: basta raccogliersi in se stessi, pensare a Lui, parlargli con le proprie parole, come dice questa diciannovenne: «Io mi sento di vivere la mia fede come piace a me, nel senso che sono assolutamente certa che non sia necessario andare in Chiesa tutte le domeniche per credere, è necessario il pensiero di un minuto e mezzo nella giornata, mi basta il pensiero». Sono pochi, anche tra coloro che si dichiarano cristiani e cattolici, quelli che frequentano la Messa domenicale. È come se il percorso dell’iniziazione cristiana che quasi tutti hanno frequentato per ricevere i sacramenti non li avesse educati a considerare il valore di un’esperienza comunitaria, che è fatta anche di preghiera. La maggior parte non avverte un legame significativo con la Chiesa e si chiede che cosa c’entri con la loro fede, che è solitaria, individualistica, anonima. Della Chiesa non comprendono i linguaggi, che ritengono superati e astratti. Alla comunità cristiana chiederebbero soprattutto delle relazioni, l’incontro con testimoni significativi. I giovani che dimostrano qualche interesse per la Chiesa, infatti, sono quelli che nella comunità cristiana hanno incontrato persone significative nel corso di esperienze, in occasione di eventi, in circostanze particolari. La Chiesa viene coinvolta nello stesso atteggiamento di diffidenza che i giovani hanno nei confronti di tutte le istituzioni: questa è un’importante chiave di lettura da prendere in considerazione in sede educativa, segnale dell’atteggiamento individualistico che caratterizza la cultura di oggi che stenta a riconoscere il valore di dimensioni oggettive ed esterne al proprio io. Anche la figura del prete viene coinvolta in questa distanza dall’istituzione ecclesiale; a esso i giovani guardano con benevola indifferenza. Non riuscirebbero a immaginare una Chiesa senza preti, e tuttavia non ne capiscono la funzione. A meno che qualcuno abbia mostrato sacerdoti capaci di vicinanza, attenzione, disponibilità a entrare in una relazione dialogica e personale. A questo atteggiamento di distanza e di freddezza si sottrae la figura di papa Francesco, verso il quale i giovani mostrano una grande ammirazione e di cui avvertono il fascino. Paradossalmente, pur rappresentando il vertice dell’istituzione ecclesiale, papa Francesco è amato e stimato dai giovani che lo sentono come un riferimento affidabile e sicuro. I motivi? La sua vicinanza ai poveri, l’immediatezza del suo linguaggio, il suo impegno per la pace, la ricerca di incontro con le altre religioni.
L'intervista si chiudeva con questa domanda: «Secondo te, che cosa c’è di bello nel credere?». Dei 150 intervistati, solo 8 hanno risposto che non vi è nulla di bello. Per gli altri 142, credenti o non credenti, credere è bello perché dà speranza, permette di non sentirsi mai soli, di avere un senso per la propria vita. Detto da giovani che non credono, sembra rivelare una nostalgia di Dio che commuove e fa pensare. L’osservatore che assume come indice della vita cristiana l’andare a messa la domenica può obiettare che 'queste cose le sapevamo già!'; ma chi è interessato a cogliere le sfumature della coscienza giovanile troverà in questa ricerca non poche sorprese, a cominciare dal fatto che Dio non è scomparso dall’orizzonte delle nuove generazioni, anche se il riferimento a Lui è molto più complesso e tortuoso di quello delle generazioni precedenti: del resto, non è così anche la vita, nel contesto attuale? Tanti giovani non frequentano più la chiesa, ma Dio non è scomparso dal loro orizzonte esistenziale. È questo il punto di forza per una nuova comunicazione della fede, come processo all’interno del quale i giovani possano trovare aiuti, strumenti, dialoghi per condurre in modo positivo la propria ricerca. E la comunità cristiana può trovare in loro energie, domande di vita, provocazioni per innovare le forme del credere, al passo con i tempi.
Vi è un’immagine che mi pare possa interpretare bene la condizione religiosa dei giovani: quella della brace che cova sotto la cenere. Chi guarda distrattamente, vede solo la cenere; chi sa andare oltre si rende conto di una vita possibile, da portare allo scoperto. Chi saprà soffiar via la cenere e rendere la brace di nuovo capace di ardere e di produrre luce e calore? Questa è la sfida per la comunità cristiana e per tutta la generazione adulta che ha a cuore i giovani e il futuro della fede nella società occidentale.