I due fratellini annegati a Manfredonia. Una tragica fatalità, ma non solo
giovedì 13 luglio 2023

Una fatalità, certo. La curiosità di due bambini, il desiderio di vivere una piccola avventura, al di là del buco d’una recinzione dietro casa. Per trovare, di nascosto, refrigerio in questi giorni torridi. Per provare a fare una nuotata, come in una piscina, di quelle che si vedono nelle ville, anche se qui è solo una grande vasca per l’irrigazione, l’acqua verdognola, un po’ limacciosa. Ma il primo bimbo non ha paura, lascia le ciabattine vicino al bordo della vasca e supera convinto l’argine. Poi però non riesce più a risalire. E l’altro che cerca, forse, di aiutarlo, ma a sua volta non è più in grado di aggrapparsi e superare il bordo. La tragedia dell’annegamento di Daniel e Stefan, due fratellini di 6 e 7 anni nelle campagne di Manfredonia si è consumata, con ogni probabilità, in queste poche sequenze, l’altro ieri sera in località Fonterosa.

Una fatalità, dicevamo, di quelle che in questa stagione capitano almeno una volta a settimana un po’ dappertutto in Italia: bambini che sfuggono al controllo dei genitori e annegano nelle piscine private. Ma questa volta, e non solo questa, forse dovremmo leggerla e classificarla in un altro modo: come un “incidente sul lavoro”. Il tragico effetto collaterale di un lavoro – quello dei loro genitori – che impegna così tanto da non permettere di badare sempre come si vorrebbe e dovrebbe ai propri figli.

La tragedia si è consumata infatti in un casolare di campagna, di quelli in cui generazioni di contadini pugliesi hanno faticato mangiando pane e miseria e in cui oggi vivono e lavorano prevalentemente persone di origine straniera. In questo caso, si tratta di una famiglia romena, ma gli immigrati fra questi campi del Foggiano provengono un po’ da tutte le parti del mondo: dall’Est Europa, dall’Africa, dall’Asia. Vite difficili, molto spesso da veri e propri schiavi nei campi di pomodoro o nelle serre. Campagne in cui le inchieste giudiziarie (e di “Avvenire”) hanno portato alla luce lo sfruttamento brutale dei braccianti, i ricatti e le violenze nei confronti delle donne, i pestaggi e addirittura le sparizioni di chi si ribellava o anche solo protestava per quelle condizioni di lavoro.

La famiglia di Daniel e Stefan  – mamma, papà e due sorelle poco più grandi – non è tra quelle sottoposte a particolare sfruttamento, ma in ogni modo il lavoro in questi campi è particolarmente duro per chi deve dare da mangiare a 6 persone. E di tempo ed energia per badare ai figli ne rimane davvero poco. E così i piccoli crescono spesso soli, esposti ai pericoli.

Come da sola era Kataleya, quando l‘hanno portata via dall’hotel occupato a Firenze mentre la madre, immigrata peruviana rimasta sola, lavorava. E da soli restano migliaia di bambini e ragazzi, figli delle tante badanti che si occupano dei nostri anziani. E mentre queste lavorano nei nostri appartamenti, a casa loro i bambini sono soli e sfuggono all’attenzione delle nonne, si fanno male, si ammalano o anche solo crescono un po’ “storti” per il vuoto di quelle assenze.

Un problema che non riguarda solo gli immigrati, si obietterà. Ed è vero: interessa anche migliaia di famiglie di “etnia italiana” – come le definirebbe qualche ministro – che faticano sempre più a conciliare occupazione e cura familiare, che non sempre trovano servizi adeguati per la custodia dei bambini o semplicemente non se li possono permettere. Ma è intuibile come tutto ciò pesi molto, molto di più per quelle famiglie di immigrati che hanno meno possibilità economiche e più ridotte reti di sostegno. E allora non possiamo non interrogarci sulle condizioni in cui questi nuclei familiari vivono nel nostro Paese. Tanto più ora che risulta chiaro a tutti – persino ai più refrattari – che ne abbiamo estremo bisogno e infatti il governo, questo governo, ne “chiama” a centinaia di migliaia dai Paesi più sperduti con il decreto flussi. Lo scrittore Max Frisch l’ha riassunto bene così: «Volevamo braccia, sono arrivati uomini». E poi con loro mogli. E figli da crescere.

Quella di Daniel e Stefan è stata una tragica fatalità, certo. Ma forse non solo.

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