Una anziana siriana osserva le rovine della sua abitazione distrutta dai bombardamenti nella provincia di Idlib - Ansa
«Avvertiamo l’urgenza di manifestare la nostra gratitudine a papa Francesco e dimostrare al mondo che il suo appello per questa umanità abbandonata e tradita non è caduto nel vuoto. Questi nostri fratelli e sorelle di Idlib non possono essere dimenticati. Perciò domenica 8 marzo, un gruppo di noi alle 12, nel pieno rispetto di ogni misura di sicurezza, sarà in piazza San Pietro alla recita dell’Angelus». Si conclude così l’appello – lanciato da Associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio, Amnesty International Italia, Caritas Italiana, Centro Astalli, Comunità di Sant’Egidio, Coordinamento dei Siriani Liberi di Milano, Focsiv, Siria Libera e Democratica, Ucoii, Magis-Movimento e azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo, Ucsi, Articolo 21, Associazione culturale islamica in Italia, Comunità siriana in Umbria, Fesmi-Federazione della stampa missionaria italiana, Fondazione Migrantes, Associazione Educatori senza frontiere, Associazione Francesco Realmonte, Coe, Comitato Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell’Amore, Cvx, Engim-Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo, Fondazione Exodus, Masci Italia, Movimento Shalom, Pax Christi e da illustri personalità – pubblicato il 5 marzo su "Avvenire" con l’invito, firmato e rilanciato dal direttore Marco Tarquinio, per chi non potrà esserci, a esporre una luce o a seguire la preghiera in tv. (QUI LA LISTA DELLE ADESIONI)
Caro direttore,
tra una settimana il conflitto siriano entrerà nel suo decimo anno. Quella che nel marzo del 2011 era iniziata come una rivolta largamente pacifica e di massa si è trasformata, a partire dall’anno seguente, in una guerra spaventosa – combattuta con strategie spietate di assedio e con armi bandite dal diritto internazionale – cui hanno preso parte forze di altri Stati e gruppi armati eterodiretti. Una guerra che, sebbene si parli già di ricostruzione, sta ancora distruggendo.
In questi nove anni la popolazione civile siriana non solo è stata sterminata. È stata anche progressivamente cancellata dalla narrazione dei vincitori. La storia dei vincitori, a proposito degli assedi, narra che c’erano città occupate da gruppi armati islamisti che dovevano essere “liberate”; che i vincitori avevano messo a disposizione percorsi sicuri per la popolazione assediata; che chi non aveva accettato la generosa proposta era d’accordo coi terroristi. Dunque, ad Aleppo, Homs, nella Ghouta orientale (così come del resto a Grozny, Gaza e altrove) non c’erano civili da proteggere. Solo terroristi. Certo, c’erano e ci sono anche loro. Noi però ci ostiniamo a raccontare la storia dei vinti della Siria. Delle decine di migliaia di siriani scomparsi e torturati. Di quelli sequestrati dai gruppi armati, come padre Paolo Dall’Oglio o i “quattro di Douma”. Dei milioni di sfollati interni. Degli altri milioni di rifugiati che vivono esistenze precarie in Giordania, Libano e Turchia, pochissimi dei quali bussano in questi giorni alle porte e alle coste dell’Europa e vediamo come vengono “accolti”.
In questo racconto abbiamo due importanti alleati: “Avvenire”, sempre più il quotidiano dei diritti. Con grande professionalità e molto coraggio i suoi giornalisti sono sfuggiti a comode visioni del conflitto e lo hanno descritto dando voce ai senza–voce, alla domanda di pace e di giustizia che continua flebilmente a levarsi dalle città martoriate della Siria. E c’è papa Francesco. Che in modo sempre accorato ricorda costantemente al mondo che nelle guerre vengono colpiti civili e infrastrutture civili. Che distruggere queste ultime rende impossibile vivere. Che popolazioni assediate da mesi non ricevono aiuti umanitari indispensabili per sopravvivere.
Domenica 8 marzo saremo insieme per rappresentare i dimenticati e le dimenticate di Idlib (quelli che ieri Putin ed Erdogan hanno deciso di non ammazzare per un po’ di tempo). Saremo, a loro nome, fisicamente o idealmente qualora le norme a tutela della salute pubblica non lo permetteranno, nel luogo che in questa occasione è il più giusto possibile: a San Pietro.
Portavoce di Amnesty International Italia