Caro direttore,
ho letto con molta attenzione l’articolo (“Avvenire”, 11 aprile 2019) in cui Antonella Mariani dà conto della vicenda relativa all’approvazione della legge regionale emiliano-romagnola sul contrasto all’omotransfobia. Mi corre l’obbligo di effettuare, al riguardo, alcune precisazioni. La proposta di legge è il risultato di un lavoro lungo e complesso, svolto dal Pd in collaborazione con le realtà locali e le associazioni. Un intervento significativo, che si pone in linea con l’esperienza già seguita in molte altre Regioni e che punta a contrastare l’omotransfobia laddove più frequentemente se ne annidano cause e conseguenze, articolando efficaci politiche sociali e culturali al riguardo. Stiamo parlando della vita delle persone, del diritto di essere sé stessi e di partecipare alla vita della comunità in condizioni di pari dignità, al riparo dal rischio di discriminazioni e violenza: un obiettivo coerente con il progetto di liberazione ed emancipazione della persona umana prefigurato dalla Costituzione repubblicana.
Per questo, ritengo grave che la discussione su un tema tanto delicato sia stata strumentalmente sovrapposta a quella sulla Gpa: un tema altrettanto importante, ma del tutto estraneo all’àmbito di intervento del progetto di legge.
Ricordo peraltro che il Pd ha assunto una posizione sulla Gpa votando alla Camera, nel maggio 2016, una mozione unitaria. Si tratta, com’è ovvio a fronte di un dibattito complesso e acceso, di una posizione articolata e aperta. In quell’occasione emerse, alla luce dell’esperienze straniere ed europee, la consapevolezza che la relazione tra Gpa e violazione della dignità della donna non possa essere considerata un dato assoluto: altro è una Gpa praticata in contesti in cui l’autodeterminazione della donna sia messa a rischio da condizioni di indigenza economica o di subalternità culturale, altro è che questo avvenga in contesti in cui la donna resta al centro di un articolato sistema di garanzie, che escludano il ricorso alla pratica per ragioni di bisogno o sfruttamento. È sulla necessità di apprezzare queste differenze che oggi si gioca la scelta fra un conflitto puramente ideologico e la ricerca di soluzioni quanto più condivise fondate sulla libertà delle persone, a partire da quelle delle donne e dei bambini coinvolti.
Inoltre, la Gpa è e resta vietata dalla legge 40: proprio per questo mi auguro che in Emilia-Romagna, grazie a una mediazione equilibrata e coerente con la posizione espressa nella mozione Rosato, si possa al più presto giungere all’approvazione di una legge importante e molto attesa.
Monica Cirinnà, senatrice del Pd
E io, per quel che vale, gentile senatrice mi auguro che in Emilia Romagna si arrivi all’approvazione di una legge regionale anti-discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali e transessuali ben modulata, rispettosa anche delle libertà di civile opinione e che contenga il richiamo – proposto in forma di emendamento da nove consiglieri del Pd e condiviso dalle opposizioni di centrodestra – allo «sfruttamento della donna» attraverso la pratica dell’utero in affitto, cioè alla riduzione del corpo femminile a puro “strumento” e dei bambini a “merce”. Operazioni che, come nell’articolo della mia ottima collega Antonella Mariani sottolinea la filosofa Francesca Izzo, purtroppo sono sempre connesse alla pratica della maternità surrogata.
Perché ritengo saggio e opportuno un emendamento che lei invece ha definito «devastante»? Prima di tutto per il richiamo in sé, che rende limpido fugando l’ombra di qualunque secondo fine quel testo di legge. Dignità e diritti di persone che rischiano di subire emarginazione e violenze materiali o morali vanno difesi senza aprire spiragli a diritti impropri o addirittura di inesistenti, come il cosiddetto “diritto al figlio”. Una sottolineatura non necessaria e persino eccessiva? Purtroppo no, gentile senatrice. Lo dimostrano le accuse di «omofobia» scagliate contro i sostenitori dell’emendamento e in particolare contro il consigliere regionale del Pd (ed ex vicesindaco di Bologna) Giuseppe Paruolo. Del resto, in questi anni di civili battaglie informative contro quella che lei chiama solo e soltanto Gpa, abbiamo sperimentato la ricorrente tendenza dei fautori della «surrogata» a etichettare come «discriminatoria» e «omofobica» la posizione nostra e di tanti altri, compresi gruppi intellettuali, realtà associative, singoli cittadini e cittadine, politici che via via con sempre maggiore chiarezza hanno compreso l’importanza della questione. Certo il fatto che Arcilesbica dica cose non dissimili da quelle di Paruolo e dalle nostre sulla maternità surrogata, rende più debole questo tipo di aggressione polemica, così come il dato della eterosessualità di quasi otto coppie su dieci tra quelle che “mettono sotto contratto” il grembo (e la vita stessa) di una donna per “produrre” uno o più figli, ma purtroppo oggi più che mai la realtà dei fatti stenta a frenarne la rappresentazione a fini di battaglia ideologica e di fazione, dove compravendita e assemblaggi della vita umana in laboratorio vengono regolarmente raccontati come “conquista” e “dono”.
Rispetto il travaglio che tre anni fa portò il Pd a una presa di posizione apparentemente salomonica, ma anch'io ritengo quel compromesso ambiguo e drammaticamente insufficiente. Lei è invece di diverso avviso e lo ribadisce, dopo averlo manifestato anche con una certa foga, da ultimo via web e da penultimo nel corteo promosso a Verona dalla corrente femminista schierata per «utero in affitto» e «lavoro sessuale» (Gpa, ovvero mercato di grembi, gameti e figli; sex work, ovvero prostituzione definitivamente legittimata e mercatizzata). Eppure questa insufficienza e questa ambiguità contribuiscono a spiegare il brusco distacco di settori importanti della pubblica opinione dal Partito democratico. E io credo che i nuovi vertici del Pd farebbero male a non considerarlo con attenzione e preoccupazione.
Un’ultima notazione, gentile senatrice Cirinnà. Lei ricorda che la Gpa è e resta vietata dalla legge 40. Ma lo fa solo per chiedere a me e, prima ancora, a chi nel suo partito non si allinea alla sua posizione perché mai si senta il bisogno di ribadirne l’illegalità e, più ancora, l’inciviltà…Mi sembra chiaro: l’argine della legge 40 c’è ancora e resta importantissimo, così come quello che impedisce il commercio di seme e ovociti, ma entrambi quegli argini vengono aggirati con viaggi all’estero o mascherando i prezzi pagati da “rimborsi”. Lei lo sa quanto me. E sa pure che i figli di madri surrogate vengono presentati per l’iscrizione all’anagrafe dopo qualche anno di permanenza con le persone o coppie committenti ("arcobaleno" o meno). Sa anche, come lo so io, che lo si fa forti del fatto che, al di là delle carte da bollo rilasciate da Paesi arresi a tale pratica, nessuno mai si sognerebbe di togliere una bambina o un bambino dall’ambiente in cui è inserito da tempo e nel quale sta crescendo, magari circondato da ulteriori affetti familiari (zii e zie, nonne e nonni, cugini e cugine…). Lei sa quanto me, insomma, che l’«utero in affitto» è vietato, ma chi lo usa per farsi fare figli, e usa qualche accortezza, sta riuscendo a realizzare per via giudiziaria e amministrativa i propri progetti e a violare senza conseguenze la legge vigente in Italia.
Ecco perché l’Italia deve decidersi a guidare con buone ragioni e toni giusti una battaglia a livello mondiale, per uscire da questa disumanizzante deriva. Serve un fronte ampio come fu quello contro la schiavitù, o come quello che oggi è in campo contro la pena di morte. Ecco perché in ogni sede e occasione non una parola chiara di meno possiamo e dobbiamo avere su un tema tanto grave. «Devastante», cara senatrice, non è porre il problema, ma dissimularne la portata. «Devastante» è catalogare chi indica il problema come «omofobo» e/o come incline alla «discriminazione» e/o come colpevole di impedire il varo di una legge regionale giudicata utile. Io non pretendo che lei la pensi come noi (un noi davvero plurale, che unisce credenti e laici, donne e uomini). Lei non ci chieda di chiudere gli occhi.