domenica 3 settembre 2023
Fin dalla sue elezione il Papa ha insistito molto sull'importanza del dialogo con le altre fedi. I frutti si sono visti nei recenti incontri asiatici
© RIPRODUZIONE RISERVATA Papa Francesco al centro della foto di gruppo dell’incontro tra i leader delle religioni mondiali e tradizionali tenutosi a Nur-Sultan (Astana), in Kazakistan, lo scorso 14 settembre Nell’occasione si è firmata un’importante dichiarazione finale

© RIPRODUZIONE RISERVATA Papa Francesco al centro della foto di gruppo dell’incontro tra i leader delle religioni mondiali e tradizionali tenutosi a Nur-Sultan (Astana), in Kazakistan, lo scorso 14 settembre Nell’occasione si è firmata un’importante dichiarazione finale - ANSA

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Le vie del magistero di Francesco: ponti dal Concilio alle Dichiarazioni comuni Fin dalla sua elezione il Papa ha insistito molto sull’importanza del dialogo con le altre fedi I frutti si sono visti nei recenti incontri asiatici Con la serie «Io seguo la Chiesa», “Avvenire” propone ogni domenica un viaggio attraverso il magistero di Papa Francesco e la sua missione. Le analisi svolte dalla vaticanista Stefania Falasca si concentrano sulle linee maestre del Concilio Vaticano II, che sono state seguite e portate avanti da Papa Francesco nel solco della Tradizione.
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«Un cammino di fratellanza… Perché ci sia una grande fratellanza». Questa preghiera fu pronunciata la sera stessa della sua elezione da papa Francesco, prefigurando la ricerca dell’unità del genere umano e della pace che sono confacenti al ministero petrino e che lo hanno portato – attraverso i viaggi apostolici e il dialogo di questi anni – a gettare ponti anche con le altre religioni. Perché, come ha affermato, «questo è il cammino della Chiesa… Io seguo la Chiesa». Perché è quanto il Concilio Vaticano II – nella costituzione pastorale Gaudium et spes – dichiara: « La Chiesa si rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani, e dello sforzo d’intensificare i tentativi intesi a sollevare l’immane miseria» (GS 84).

Un cammino che si persegue attraverso il dialogo, dato che la via su cui la Chiesa è chiamata a camminare è il dialogo. Che non è una parola ma una descrizione fondativa in una prospettiva ecclesiale. Perché quando si dice dialogo nella Chiesa, si dice colloquium salutis, ovvero la fedeltà a Cristo. Il dialogo infatti è radicato nell’agire di Dio verso l’uomo, come tutta la storia della Salvezza evidenzia. Non si tratta di strategia pastorale, ma di assumere il metodo di Dio e di continuarlo nel tempo. Pertanto, nell’udienza concessa nella Sala Regia del Palazzo apostolico al corpo diplomatico presso la Santa Sede all’inizio del suo pontificato, il Papa aveva anticipato con chiarezza su quali dorsali avrebbe indirizzato il passo: «Uno dei titoli del Vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare… e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità».

Aveva poi declinato la vocazione a farsi ponte con il dialogo interreligioso: « In quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione. Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio. Ma vale anche il contrario: non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri – aveva affermato – Per questo è importante intensificare il dialogo fra le varie religioni». È quanto esattamente afferma la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, firmata da Paolo VI e da tutti i Padri conciliari il 28 ottobre del 1965, che in un passo successivo spiega: « Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino» (NA 1).

E il 20 marzo 2013, nell’incontro con i rappresentanti delle diverse religioni, il Papa espresse chiaramente l’indirizzo programmatico di assunzione prioritaria del dialogo interreligioso «nella volontà di crescere nella stima reciproca per favorire il bene dei poveri e la giustizia, per promuovere la riconciliazione... nella comune responsabilità che tutti portiamo verso questo nostro mondo, verso l’intero creato che dobbiamo amare e custodire». Nell’Evangelii gaudium ha esplicitamente affermato che «il dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose ». Seguire il cammino della Chiesa che dal Concilio va avanti che cosa ha quindi significato?

Ha significato ad esempio firmare il Documento di Abu Dhabi. « Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace». Con questa visione il 4 febbraio 2019, papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar, Ahamad al-Tayyeb, hanno siglato in terra d’Arabia il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, disinnescando così le trappole ideologiche dei propagandisti e fomentatori delle “guerre culturali” di ieri e di oggi. Da un punto di vista ecclesiale, «un passo avanti, ma un passo avanti che viene dopo cinquant’anni anni, dal Concilio che deve svilupparsi», commentò Francesco.

E ha significato firmare la Dichiarazione finale del settimo Congresso dei Leader delle Religioni mondiali e tradizionali in Kazakistan, «cuore» per il Papa «del grande e decisivo continente asiatico», il 14 e 15 settembre scorsi. Ed è significativo che proprio in questo Paese dell’Asia centrale, ai confini della Russia lungo l’antica via della seta che collegava la Cina al Medio Oriente e al Mediterraneo – storicamente abitato da popoli nomadi e oggi multietnico e multiculturale che con le sue oltre cento diverse etnie induce a vivere la differenza non come una minaccia – sia stato scelto dal Papa per tirare le fila di un’epoca, quella segnata dall’attentato alle Torri Gemelle di New York: « Dopo quanto accaduto l’11 settembre 2001, era necessario reagire, e reagire insieme, al clima incendiario a cui la violenza terroristica voleva incitare e che rischiava di fare della religione un fattore di conflitto», ha affermato il Papa nel suo discorso. E vuole continuare così, avendo ben chiaro sulla base della dottrina sociale e della strada maestra del Concilio Vaticano II che «la via del dialogo interreligioso è una via comune di pace e per la pace, e come tale è necessaria e senza ritorno. Il dialogo interreligioso non è più solo un’opportunità, è un servizio urgente e insostituibile all’umanità, a lode e gloria del Creatore di tutti».

Se dunque il dialogo tra le religioni è una condizione imprescindibile per la pace, e per questo «è un dovere per tutti i credenti», deve «estendersi a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile. Siamo consapevoli che c’è ancora tanta strada da percorrere. Non lasciamoci però scoraggiare dalle difficoltà, e continuiamo con perseveranza». « La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti – ha ripetuto in Azerbaigian, puntando al compito educativo che ogni religione può adempire in questo senso –. Esse sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo».

Con il Successore di Pietro la Chiesa sente dunque, per sua natura, la responsabilità di spegnere i conflitti e di edificare ponti nella società. È questa è la rotta lungo la quale si sono mossi anche i viaggi apostolici: da Gerusalemme alla Mongolia oggi, con un nuovo incontro interreligioso a Ulan Bator, lungo la via seguita che fa appunto del dialogo la chiave di volta per il perseguimento della giustizia e la costruzione di una pacifica convivenza fra i popoli: «Siamo convinti che per questi ponti passano la cooperazione per il bene comune e l’edificazione della pace del mondo», continua a ripetere Francesco con gesti eloquenti. Tanto più nell’attuale contesto mondiale spezzato dalle guerre.

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