Caro direttore,
da molto tempo, quando si avvicina un avvenimento come il 1° maggio, provo un certo disagio. Si fa festa per il lavoro, ma da un po’ di tempo si usa questa festa per dire cose 'altre e diverse'. Queste cose 'altre e diverse' portano a polemiche che non aiutano il lavoro, ma diventano preparazione ad 'altro'. Che cosa c’entra con il lavoro e i suoi problemi la polemica sulla proposta di legge Zan? Proprio qui, direttore, nasce questa lettera, dalla 'scoperta' di un diffuso stile giornalistico basato – diciamo così – sull’accettazione della inopportunità. In questo caso, una ipotesi normativa sull’omofobia e l’identità di genere scritta male e con mire politico-ideologiche e di caccia ai consensi in vista di future campagne elettorali. Un giornalista nel giorno in cui si celebra il lavoro degno dovrebbe pensare a far sapere se si parla a sufficienza e in modo davvero serio di lavoro, di infortuni sul lavoro, di trasferimento all’estero di società, di amministrazioni ciniche, di capitali collocati in paradisi fiscali ecc... Dovrebbe occuparsi, almeno in questo giorno, delle 'emorragie' che fanno debole e malato il lavoro! Ho operato per vent’anni, prima del sacerdozio, in posti importanti del lavoro in fabbrica: capo reparto all’attrezzeria della Lagomarsino, normalizzatore nei tre stabilimenti Lesa, capo controllo alla Solfrene di Corsico. E ho sempre pensato al lavoro, alla tecnologia, all’Italia e mai al solo guadagno mio e al profitto fine a se stesso dell’azienda. Ma so bene che anche quando le leggi ci sono (e non per tutto ci sono), mancano gli strumenti necessari a fermare le 'emorragie' del lavoro italiano! Credo, direttore, che voi giornalisti dobbiate rivedere le regole con cui stabilite le opportunità dell’informazione che date. Qualche esempio: architettura a Milano (brutalismo e recupero edilizio), migrazione fiscale di grandi aziende in Olanda (l’ultima è Mediaset), Leonardo (ha comperato il 25% delle azioni, diventando prima azionista, dell’elettronica tedesca Hensoldt specializzata in dispositivi di guerra e satellitari). Cambiare costa, ma è opportuno.
Don Maurizio Canti
Nessuno è perfetto, caro don Maurizio. Ma non esiste un solo modo di fare informazione. In Italia ci sono, eccome, giornalisti e giornali che sanno cogliere quelle che lei chiama vere e serie opportunità informative, anche a proposito delle 'ferite' (o 'emorragie') del lavoro. Giornalisti e giornali, che non regalano tutto lo spazio ai comizianti d’occasione e, per così dire, fuori tema. Non penso soltanto a ciò che mettiamo in pagina qui ad 'Avvenire', ma devo ammettere che sono piuttosto contento del lavoro che stiamo facendo, anche se so che dev’essere fatto sempre meglio. Dopo il Primo Maggio, dolorosamente, la cronaca ha costretto un po’ tutti a concentrarsi sulle ferite anche mortali del lavoro italiano. Non pochi lo hanno fatto soprattutto per il volto giovane e bello e per la storia coinvolgente di Luana D’Orazio, uccisa dal macchinario tessile su cui stava lavorando. Ma il volto e la storia di ogni lavoratore sono importanti. E noi non lo dimentichiamo. Grazie per la sua esperienza e i suoi consigli.