Caro direttore,
l’interessante e condivisibile articolo di Luigino Bruni del 4 febbraio ha suscitato in me – sono una modesta docente di storia dell’Arte – alcune considerazioni "pittoriche" e no. È vero, Ambrogio Lorenzetti, con i suoi stupendi affreschi è capace di richiamare ancora a noi, uomini e donne del XXI secolo, sia le virtù che devono essere alla base di ogni buona e corretta convivenza civile, sia i vizi che si devono evitare per non cadere nella desolazione che corruzione, tradimento e avarizia creano sempre in una società. Ma quella lezione artistica – gioiello del Palazzo Pubblico di Siena – appartiene, come del resto san Bernardino che chiamò a quell’epoca il Popolo di Dio a cancellare la miseria con opere di buona finanza, a una civiltà ormai ricusata dall’odierna Europa e dai più. Un’Europa dominata da un altro dipinto che, metaforicamente, crea una cesura incolmabile con il passato e annuncia la società odierna dove «l’ideologia dominante ha trasformato l’avarizia (e io aggiungerei il furto) da vizio capitale a virtù pubblica… ». Parlo di quel quadro di William Blake, "L’Antico dei giorni", dove il dio dei filosofi, impugnando un compasso dall’inequivocabile significato, prelude a quel "Mondo Nuovo" tanto auspicato dalle illuminate «magnifiche sorti e progressive» che nel "secolo breve" di danni ne ha creati a bizzeffe. E che ora, neanche tanto velatamente, tenta di distruggere ciò che resta di "cattolico". La finanza e il mercato senza regole, sono figlie di quel quadro e di quell’ideologia oggi tanto incensata da una certa Europa, dove «l’antico linguaggio delle virtù e dei vizi» non è più compreso perché il vizio si è magicamente trasformato in virtù, dove una persona è giudicata non per la sua onestà intrinseca, ma per la considerazione che il "Mondo Nuovo" gli tributa. E perché ormai anche molti degli onesti sono convinti che solo uno che appartiene o viene considerato da questo "Mondo Nuovo" possa trarli dalle secche di una crisi che, invece peggiorerà, perché le premesse sono sbagliate. Se noi italiani (ed europei) non ci diamo una smossa immergendoci nuovamente nella nostra cultura più autentica – le vere radici giudaico cristiane e non quelle politically correct (che insistono che dobbiamo fare i compiti e tacere) – se non ci decidiamo a gridare che il re – l’Europa – è nudo, rischiamo di andare solo incontro al peggio.
Emi Degli Occhi, Milano
Il re siamo noi cittadini, cara e lucidissima professoressa, e non possiamo farci abbindolare e detronizzare da chi vuole scrivere un’altra storia e soprattutto vuole farla. È vero, c’è una certa Europa che è "nuda" e che pretenderebbe di essere rivestita di inchini. Ma questo non significa, come sostiene qualcuno, che ci sono porte da sbattere. C’è bisogno di più europei consapevoli di sé e della propria cultura mirabilmente figlia di fede e di ragione, certi di ciò che davvero vale e al quale non si può rinunciare (l’inviolabilità e la dignità della vita umana e delle relazioni e attività nelle quali essa si genera, si sviluppa e si realizza). C’è bisogno di spendersi, senza timidezze, a viso aperto, per un’Europa migliore che sia progetto e casa e non solo cantiere aperto a ogni incursione. Dobbiamo crederci e dobbiamo farla così la patria europea che nel bene (tanto, a cominciare da quello della pace) e nel male ci siamo ormai abituati a concepire e a vivere nella nostra quotidianità. Dobbiamo indicare, con tenacia e fiducia, la via giusta, Il «peggio» – che lei, gentile signora, paventa e che purtroppo sperimentiamo – può essere un accidente di percorso, non può diventare mai un approdo.