Due lettori ragionano sull’accelerazione del confronto di Francia e Germania con Zelensky a caccia di più armi e di maggiore coinvolgimento bellico di Nato e Ue sotto la dura pressione di Putin. È lecito sognare che Roma si concentri piuttosto sull’azione diplomatica per il cessate il fuoco e sull’aiuto alle popolazioni colpite dal sisma anatolico. Sarebbe un segno forte
Gentile direttore,
le scrivo da cittadino e da obiettore di coscienza. La premier Meloni dovrebbe benedire il recente trattamento ricevuto dai partner tedeschi e francesi e dal presidente ucraino, ringraziarli per l’impegno da loro reciprocamente assunto e, come una lince, svincolarsi da un conflitto assurdo, davvero senza senso e costrutto. Il tragico e recente terremoto lungo la faglia anatolica, che ha causato in una sola notte un numero spaventoso di morti innocenti colti nel sonno, è tematica ai margini degli incontri tra i cosiddetti Grandi della Terra (viaggio del premier ucraino negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel cuore dell’Unione Europea) che parlano solamente di armamenti e potenziamento degli stessi. Colga, la premier italiana, questa occasione e dirotti le nostre risorse al supporto delle popolazioni colpite dal sisma in Turchia e Siria. Si possono impegnare le Forze Armate in attività di pace e costruzione di rapporti fraterni. Ne guadagneremmo in amicizia reciproca e, probabilmente, anche in legami economici che tanto oggi paiono contare. Si lasci che i branchi di lupi si scannino tra loro (per carità se vogliono maglioni, coperte, medicine non ci sono problemi, si ponga invece uno stop completo agli armamenti). Usciamo da questa follia prima possibile dando un altro esempio. La ringrazio dell’attenzione e le chiedo cortesemente di continuare ad agire in tal senso per quanto nelle sue possibilità.
Federico Pittaluga Genova
Caro direttore,
sia il presidente ucraino Zelensky sia il presidente russo Putin hanno offerto il loro aiuto alla Turchia e alla Siria sconvolte dal terribile terremoto. Palazzi distrutti, case sventrate, donne, uomini e bambini morti sotto le macerie, migliaia di sfollati e altrettanti feriti. Uno scenario di guerra. Proprio come quello sul fronte ucraino. Là una tragedia e un attacco da parte della “natura”, di qua l’uomo che uccide l’uomo, nella peggiore declinazione di homo homini lupus. Eppure, tutte le bombe costruite dall’uomo non valgono una catastrofe naturale. La forza della natura ci ricorda che di questo mondo non siamo che ospiti di passaggio e a volte anche sgraditi. Dunque, perché rendere la Terra un campo di battaglia quando forze molto più grandi di noi possono già farlo? Non conosco la lingua turca né l’arabo, il curdo e l’aramaico, ma dalle immagini che ho visto in tv, ho letto i volti e ho riconosciuto dei fratelli. Se questa immane tragedia deve dare un insegnamento, che almeno aiuti a scamparne un’altra, quella che dipende esclusivamente dalla nostra volontà o meglio dalla tracotanza, da quella che i Greci chiamavano “Hybris”, il senso di onnipotenza che fa credere a un leader di essere Dio. E se non saranno i leader a rendersene conto, che la spinta venga dal basso, da quei volontari russi e ucraini che stanno fianco a fianco a scavare tra le macerie per cercare superstiti. Zelensky e Putin hanno usato le stesse parole: «Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria », che sia un primo flebilissimo segnale di concordia? Bisogna cercare ogni “pretesto” anche nelle parole per spingere la pace. Non ci dovrebbe essere bisogno di terremoti per smuovere le coscienze. E che l’Italia ci sia, stavolta davvero in prima linea...
Daniele Piccinini Roma
Dicono che con le guerre si scriva la storia, e io non mi stanco di ripetere che con le guerre non si scrive la storia, ma la si insanguina. Si dice anche, di fronte a iniziative esclusive e anticipatrici, che « l’intendence suivrà », quasi a significare nel caso di Francia e Germania che, quando i veri Grandi affrontano il gioco serio del conflitto, gli altri, cioè i più piccoli o i meno Grandi, sono destinati a ruolo ausiliario e cadetto e, volenti o nolenti, dovranno inesorabilmente tener dietro alle determinazioni altrui. Anche no, grazie. Anzi, decisamente no. Come voi, e non è un mistero, vorrei un’Italia che non reciti ancora la parte dell’«intendenza» che pretenderebbe di farsi avanguardia nella battaglia russo-ucraina in cui la Nato (come purtroppo la scompaginata e arruolata Ue) appare ed è sempre più coinvolta. Vorrei un’Italia che si decida a obiettare al gioco terribile della guerra scatenata nell’attuale devastante forma dal presidente russo Putin e alimentata anche da noi occidentali. E vorrei un’Italia che convoglia le sue ambizioni e dimostra la sua vera e non tracotante “grandezza” dando finalmente corpo a un’iniziativa politica che nessun altro democratico Paese europeo sembra oggi in grado di tentare, affiancando gli sforzi diplomatici e umanitari della Santa Sede e quelli di chiunque altro. Non c’è da fare gli schizzinosi, bisogna fermare il massacro e la spinta incessante a moltiplicarlo e globalizzarlo, come avvertono papa Francesco e il segretario generale dell’Onu António Guterres. Bisogna avere realismo e senso del limite, ma anche seria consapevolezza del dovere più urgente davanti a un enorme disastro umanitario e a calcoli politici spregiudicati che stanno generando una continua escalation bellica, sempre più rischiosa per il mondo intero. In parole povere – riprendo e capovolgo un’immagine usata dal signor Pittaluga nella sua appassionata lettera – abbiamo il dovere di fare di tutto perché i «branchi» inferociti non si scannino e si sbranino tra loro. Rendendoci conto che la prima vittima di tutto questo orrore è il popolo ucraino, ma insieme c’è il popolo russo e c’è e ci sarà ancora di più, sconfitto comunque vada, tutto quel po’ di umanità e civiltà che chiamiamo Europa, ed è radicato tra l’Atlantico gli Urali. Cambiamo spartito, insomma. E cambiamolo noi per primi. Sì, sogno che lo cambi l’Italia, da matura democrazia che «ripudia la guerra», da patria di un’idea alta e concreta del diritto delle genti, da popolo di tradizione cristiana, da gente consapevole del proprio posto europeo e occidentale sulla faccia della Terra, ma anche certa del compito che è necessario assolvere in questo «cambio d’epoca» così egualmente gravido di promesse e di minacce e di fronte – come sottolinea con efficacia l’amico Piccinini – al promemoria terribile del terremoto turco-siriano che infierisce su una regione colma di bellezza, di umanità e di guerra, con le sue vittime e i suoi profughi. «Svincoliamoci», dice una delle lettere, invece di protestare per il mancato invito al tavolo parigino a tre – Francia, Germania e Ucraina – dove si è deciso (a quanto pare…) di fornire, dopo vecchi e nuovi carri armati, anche aviogetti da guerra all’Ucraina del presidente Zelensky. E buttiamoci a capofitto, aggiunge, nel sostegno alle popolazioni turche e siriane travolte dall’immane sisma anatolico. Credo che possiamo e dobbiamo farlo, pur restando vincolati al campo delle democrazie di cui siamo saldamente parte e rivendicando senza timidezze un’idea giusta d’Occidente e una visione forte e pacifica d’Europa. Credo che sarebbe un segno eloquente e sanamente ingombrante sul tavolo storto di quest’inverno di dolore, angoscia e disperanza. E sarei orgoglioso se la mia Italia avesse il coraggio di deciderlo e di inciderlo.