Gentile direttore,
ho letto la lettera pubblicata lo scorso 7 ottobre e la sua risposta. Trovo corretta la disamina della lettrice. Penso tuttavia, che il titolo è fuorviante: «“Io lo so, il cancro al seno si vince così...”. Appello da ascoltare». Già, perché il cancro al seno si può vincere, ma purtroppo può anche vincere. La retorica trionfante della ricerca pone l’accento sulla malattia curabile e curata, ma trascura di diffondere un’altra triste realtà, cioè che tantissime donne, moltissime giovani spose e mamme, nonostante i trattamenti, ricadono nella malattia che può diventare metastatica, ovvero diffusa ad altri organi. In questi casi l’unica cosa che possiamo aspettarci è la cronicizzazione che significa tenere ferma la malattia utilizzando le terapie a nostra disposizione. Il problema, ovviamente, è quanto tempo la malattia può essere in un qualche modo arginata. Alcune di noi sono molto fortunate e vivono tanti anni, altre sono meno fortunate e le loro cellule malate diventano più rapidamente resistenti ai farmaci. In ogni caso, il nostro orizzonte di vita è fortemente ridotto. Cosa fa la ricerca per noi tumorate metastatiche? La grande America, dove diventano metastatiche circa 40mila donne, destina solo il 7% delle risorse alla nostra patologia e questo significa che c’è ancora molta strada da percorrere e molti anni da aspettare. Anni che, ovviamente, noi potremmo anche non avere. Avrà capito, direttore, quanto sia difficile vivere con questa spada di Damocle sulla testa. I nostri tempi sono scanditi da cure spesso molto debilitanti e faticose, i nostri progetti non vanno mai oltre i 3/4 mesi che separano una tac dall’altra, viviamo le nostre giornate come sospese in una dimensione di incertezza e paura per noi e per chi ci sta intorno. Si parla di famiglia: ebbene, siamo in tantissime a portare questa croce e con noi i nostri mariti che, quando non scappano, vivono un dolore immenso nel vedere la loro donna mutata nel corpo e nell’anima, ma, nonostante questo, la amano più di prima e di una dedizione totale, assoluta e commovente. Questo è l’amore tra coniugi e noi lo viviamo sulla nostra pelle quotidianamente e ne siamo illuminate. Questo amore è resistere a tutto, questo è il senso profondo della condivisione, dell’affidamento reciproco e del matrimonio. Poi ci sono i nostri figli, spesso piccoli e indifesi, che vivono una situazione che è più grande di loro, che è difficile da gestire. Tra pianti e lacrime, tra giorni sì e giorni no, noi siamo qui a vivere come possiamo, districandoci tra mille banalizzazioni e indifferenze. Devo dire, poi, che c’è tanta gente buona e disponibile, che prega per noi e ci sorregge come può. È bellissima questa vicinanza nella sofferenza, ci fa sentire parte di un progetto di bene e di speranza che viene dall’alto. Certo, le domande sul senso e sul perché la mia vita sia così me le faccio sempre, e spesso con rabbia cieca. Ho capito che non troverò mai una risposta adeguata, il male può anche semplicemente accadere, non me lo sono andata a cercare (lo stile di vita, il mangiar sano, il movimento non c’entrano niente nel mio caso): l’unica cosa è guardarlo in faccia, affrontarlo con dignità e leggere la disponibilità misericordiosa negli occhi di tanti che mi vogliono bene, senza aver paura di chiedere aiuto.
Elisabetta
La sua lettera, cara signora Elisabetta, è bellissima e piena di luce. Perché la verità è sempre una luce, anche quando emerge da una forte sofferenza. Le sono profondamente grato, da uomo, per quello che da donna ha saputo dire – e non solo a me – e per come lo ha fatto. Ma se davvero, come capisco, la causa scatenante della sua lucida e appassionata testimonianza è un titolo capace di dire soltanto una parte della verità (la vittoria contro il cancro al seno è possibile), ammetto di essere molto contento di aver, dal suo punto di vista, “sbagliato”. Mi intenda: aderisco completamente alla sua richiesta di chiarezza, e però sono contento che lei si sia risolta a scrivermi. Non se ne stupisca. La lettera della lettrice Meneguzzo (alla quale ho risposto lo scorso 7 ottobre) ha indubbiamente fatto del bene, motivando altre donne a lottare in modo giusto contro una malattia così subdola e dura. Sono però convinto che la sua garbata protesta probabilmente contribuirà a suscitare una consapevolezza ancora più positiva ed efficace, perché lei, cara amica lettrice, sa dare ragione a occhi bene aperti, della sua speranza. Una speranza (e una fede) che non ignora o dissimula alcun aspetto del male, che «può semplicemente accadere» anche a chi si è data uno stile di vita saggio, e lo affronta per ciò che è. Con coraggio. Grazie davvero, grazie di cuore.