Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: gli uomini si liberano nella comunione
Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi
La biodiversità è una legge fondamentale della vita, quindi anche della vita economica, delle imprese, della consulenza. Fondamentale in ogni ambito, la biodiversità diventa veramente decisiva quando entriamo nel mondo delle Organizzazioni a Movente Ideale (Omi), cioè quelle realtà nate dalle nostre passioni più grandi, quelle che aggregano i nostri sogni collettivi. Per molti aspetti queste somigliano a tutte le altre realtà umane, per altre fondamentali dimensioni sono però diverse, qualche volta molto diverse.
Una premessa. La scienza ha scoperto che la specie umana ha in comune con gli altri primati superiori quasi tutto il suo materiale genetico (circa il 98%), ma il nostro è anche organizzato diversamente. L’organizzazione dipende dai geni e da come si esprimono, dalle mutazioni, dai “riarrangiamenti” cromosomici. Da questa prospettiva siamo quasi uguali agli scimpanzé, ma è in quel “quasi” dove si concentrano molte delle cose essenziali per capire cosa è veramente l’homo sapiens, per comprendere quindi cultura, linguaggio, relazioni, coscienza, ideologie, fede. L’1 o il 2% in questi fenomeni sono numeri grandissimi, quasi infiniti. Perché la bio-diversità tra le specie e intra-specie dipende soprattutto da come le stesse lettere dell’alfabeto (cioè il Dna) si combinano in parole (i geni) che insieme agli spazi vuoti tra una parola e un’altra diventano frasi (i cromosomi) con cui si compone il discorso di ogni singolo essere vivente, in continua evoluzione. L’epigenetica, poi, ci insegna che molti cambiamenti degli esseri viventi sono dovuti all’interazione del genoma con l’ambiente che provoca una diversa espressione dei geni dell’organismo senza modificare le sequenze di Dna – forse Lamarck col suo “collo delle giraffe” aveva più ragione di quanto pensassero i miei insegnanti di scienze.
Utilizzando questa potente metafora genetica (quindi da prendere come tale), anche le molte organizzazioni umane condividono quasi tutto il loro Dna. Se però chi studia le organizzazioni si limitasse all’analisi della sequenza genetica organizzativa giungerebbe alla conclusione che le organizzazioni umane sono (quasi) tutte uguali. Ma, anche qui, le differenze che davvero contano non si trovano tanto nella sequenza del Dna – cioè negli organigrammi, nei diagrammi di flusso, nelle job description, nella governance formale, nella suddivisione in unità, uffici, mansioni. Perché viste da questa prospettiva “genetica” le organizzazioni sono davvero troppo simili, non vediamo la vita, ma soltanto le sue tracce, non cogliamo quelle diversità che invece dovremmo individuare – siamo molto più complessi del nostro codice e programma genetico.
Tutto questo è vero per ogni realtà umana individuale e collettiva, ma è decisivo con istituzioni con secoli di storia, che sono nate da fondatori depositari di un carisma, da ideali, da motivazioni diverse da quelle del “business as usual”. Si comprende allora che il primo errore da evitare quando un consulente si avvicina a queste realtà, tutte uguali e tutte diverse, è evidente: non fermarsi alla sola analisi del Dna, anche quando dispone di strumenti e tecniche avanzatissime, se non vuole confondere umani e macachi. Quando si entra nel mondo delle Omi la biodiversità aumenta molto: hanno una storia in genere molto lunga (la durata dei processi aumenta le varianti), hanno a che fare con un carisma unico e irripetibile, hanno subìto molte “replicazioni” e “mutazioni” nel tempo e nello spazio. I buoni processi di accompagnamento e aiuto sono quindi lunghi, difficili e delicati, e si articolano in alcune fasi necessarie.
La prima: Auscultazione. La sussidiarietà organizzativa, essenziale sempre, qui è vitale. È necessaria una profonda auscultazione di problemi, progetti e sogni, per cercare di scoprire la soluzione che quasi sempre è già iscritta in quella storia e in quelle persone. Quindi diffidare molto di quelle società di consulenza che iniziano questa prima fase – la più delicata – inviando qualche neo-assunto munito di questionari e modelli astratti, che dovrebbero arrivare a una diagnosi delle criticità in una o due settimane. Qui la regola aurea generale – per capire un problema bisogna ascoltare tutte le persone coinvolte – nelle Omi è passaggio vitale. La logica biblica dell’“ultimo” è la sola buona. Nella Bibbia le soluzioni a molti episodi cruciali della storia della salvezza arrivano infatti dagli “scartati” dagli organigrammi, dagli esclusi delle sequenze formali dei “genomi” comunitari. Davide viene cercato e trovato dal profeta Samuele nei campi, fuori dalla cerchia dei fratelli selezionati da suo padre; Giacobbe e Abele erano secondogeniti, e nella linea di trasmissione della promessa che da Adamo arriva a Maria troviamo adultèri e incesti, quindi figli-eredi nati dove non dovevano nascere. E, in genere, la salvezza non proviene dai grandi e dai potenti ma dal “piccolo resto”. Seguire, quindi, questa logica significa prendere molto sul serio le parole dei più “piccoli”, dedicare tempo alle informazioni che provengono dalle periferie organizzative (portineria, personale delle pulizie, fattorini...). Qualcosa di necessario anche nella regola di san Benedetto: «Abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (cap. III).
La seconda fase: Mutazioni. Le differenze più importanti tra gli organismi sono dovute spesso a mutazioni generate da errori di replicazione delle sequenze geniche. Se chi si avvicina a una comunità ha una idea di “salute” o di normalità tratta le mutazioni come errori da correggere per allinearsi al modello astratto e finisce inevitabilmente per scambiare la salute con la malattia, perché in quegli “errori di replicazione” si possono nascondere le parole di quel carisma, di quella storia, di quelle persone con “vocazioni” diverse. Ciò non significa dire che nelle Omi e nelle comunità carismatiche ogni errore-mutazione sia sempre evolutivamente positivo. Le recessioni ci sono anche qui, e a volte sono anche gravi, ma occorre saperle individuare, e non chiamare patologia ogni variazione dal paradigma dominante. Anche perché non va dimenticata una caratteristica decisiva della cultura manageriale indotta in genere dalla grande consulenza: l’isomorfismo, cioè il livellamento delle diversità e la standardizzazione delle forme organizzative. E come accade ogni volta che si afferma un paradigma dominante, le dissonanze dal paradigma vengono definite “anomalie” e quindi espulse – fino a quando le anomalie non diventano troppe e il paradigma entra in crisi (T. Kuhn). I metodi e i protocolli della consulenza possono facilmente diventare un “letto di Procuste” che taglia tutti i “piedi” che non rientrano nelle misure fisse stabilite dal paradigma. E in genere quel che in simili operazioni viene amputato è proprio quell’1 o 2% di diversità, dove si concentrano quasi sempre l’eredità ideale, le parole diverse, le scelte profetiche di ieri e qualche volta quelle di oggi. I cultori dei paradigmi amano le medie e le mediane, e temono le punte e gli estremi, che sono invece essenziali nei carismi e negli ideali.
Terza fase: I vuoti. Nella costruzione delle frasi, non contano solo le lettere, neanche le singole parole né solo i verbi. Come nelle sequenze del Dna delle cellule, nei genomi organizzativi e comunitari contano anche i vuoti, i tratti non attivati, gli spazi bianchi tra una lettera e un’altra. Nelle storie e nelle realtà ideali e spirituali le non-scelte, le non-parole, le non-vittorie, i non-fatti sono molto importanti. Le frasi più importanti vanno lette a partire dai loro vuoti, Come accade nelle nostre relazioni importanti dove le parole davvero decisive sono quasi sempre quelle che non ci siamo dette, come nelle poesie che non si scrivono né si capiscono senza i silenzi, come la musica che non esiste senza pause, anche i brani più belli dei nostri discorsi comunitari sono quelli interrotti dai groppi alla gola, da lingue morsicate per non dire quelle parole che avremmo voluto dire, qualche volta dovuto dire. Questi vuoti, decisivi, non vengono facilmente visti dagli analisti dei Dna, non vengono segnati sul foglio. E così un “ma no” diventa una “mano”, un “per dente” diventa “perdente”, una scelta fatta “per missione” diventa una “permissione”. I discorsi si ribaltano, perdiamo il filo delle frasi e della vita.
Quarta fase: Spreco. Un’altra legge della vita è lo spreco. Il Seminatore del Vangelo getta il suo seme anche in luoghi improbabili, spine e sassi, perché gli interessa che una parte raggiunga il terreno buono, e poi qualche volta si sorprende nel vedere che il seme germoglia anche tra le spine. Molte culture della consulenza hanno come obiettivo una maggiore efficienza, la razionalizzazione dei processi, l’ottimizzazione delle procedure. Operazioni buone al 98%, ma che spesso cadono proprio nella trappola del 2%. Perché alcuni segreti e misteri delle Omi si capiscono se lasciamo la logica dell’efficienza e abbracciamo quella dello spreco, se siamo capaci di perdere tempo in rapporti improduttivi ma necessari per non perdere l’anima, se investiamo energie in luoghi che sappiamo che non renderanno mai; e poi, qualche volta, magari vedere commossi quel pane sprecato ritornare: «Getta il tuo pane sul volto delle acque, perché in molti giorni lo ritroverai» (Qoelet 11,1). Di efficienza si può morire, ovunque; nelle realtà nate dai nostri ideali più alti l’ideologia dell’efficienza non uccide subito, muta l’organismo giorno dopo giorno e lo fa diventare altro.
Infine, l’ultima fase: Il corpo-a-corpo. Quando, sussidiariamente, una Omi chiede aiuto alla consulenza, deve temere più di ogni altra cosa l’esternalizzazione della gestione delle relazioni e delle emozioni. Le comunità spirituali e ideali sono fatte di relazioni. Anche quando si occupano di educazione o di sanità, restano una faccenda relazionale, e nulla funziona come dovrebbe se i rapporti non sono a posto, se le relazioni non si tengono pulite. Se allora vivo un conflitto profondo con un mio responsabile, questo può farmi parlare con due, cinque consulenti diversi, e magari qualche volta è anche utile. Ma prima o poi devo parlare con lui, con lei, e se questo momento non arriva mai perché schermato dalle molte consulenze, il conflitto non si ris olve, è solo rinviato di qualche mese o settimana, e peggiora – i bravi consulenti possono raccogliere i miei pianti e le mie urla, ma non esco da mio/nostro buco finché non piango e urlo anche di fronte e insieme a te, perché è il rapporto con te che mi fa male.
I consulenti sono, alla fine, dei mediatori. La mediazione è di due grande famiglie: quella dei mediatori che si mettono in mezzo tra le parti, le allontanano per non farle toccare e ferire; e quella dei mediatori che invece avvicinano le parti lontane e alla fine scompaiono per farle toccare (l’icona di questi è il Crocifisso). Nella vita sociale ed economica servono entrambe le forme di mediazione, ma le Omi si spengono se mancano i secondi mediatori. Perché in queste organizzazioni diverse nessuno può e deve evitarci il corpo-a-corpo. Se succede, forse guadagniamo tempo ed efficienza, ma impoveriamo gravemente quel capitale spirituale essenziale per vivere e crescere. Smarriamo progressivamente il “piccolo resto” della differenza, e un giorno ci ritroviamo dentro lo stesso terribile mutamento di Gregor Samsa, il protagonista de La Metamorfosi di Kafka.
Termina qui questa (appassionante) prima parte di ContrEconomia. Da domenica prossima iniziamo a scrutare l’età della “Controriforma cattolica”, in cerca di altre radici dello spirito dell’economia del nostro Paese e dell’Europa.
l.bruni@lumsa.it