«Dura lex sed lex». Sì, ma la legge vale anche quando non è dura
venerdì 24 febbraio 2023

Caro direttore, scrivo come cittadino e come laico.

Sento sottopelle che il regime del 41 bis è un carcere duro, durissimo. La legge lo ha stabilito così. A quel regime sono condannate persone colpevoli di particolari delitti e in particolari condizioni. Tutto secondo la legge. Affermare che “questo tipo di detenzione toglie la dignità all’uomo” è volere ignorare il fatto che il condannato al 41bis ha violato la dignità delle sue vittime. Affermare che il 41bis è “un’azione di vendetta dello Stato” è volere ignorare che lo Stato fa le leggi per tutelare la collettività. Non è una vendetta, è la pena. Tutto è discutibile ma “ dura lex sed lex”. Cospito è stato riconosciuto colpevole fino all’ultimo grado di giudizio. I suoi sono reati contro la persona e contro la società. Contro lo Stato. Cospito li ha riconosciuti e rivendicati. Ha sparato nelle gambe di qualcuno per una sentenza da lui emessa. « Libito fé licito in sua legge ». Ha organizzato un attentato con la tecnica dei “due tempi” fallito per incuria e incapacità. Non sono attenuanti. Non ci sono scorciatoie. La sua azione dall’interno del carcere ha risuonato all’esterno come incitamento alla violenza. Cospito non è un anarchico. Non sono anarchici i suoi sostenitori. Costoro insultano e offendono l’anarchia e la vita e la morte di Giuseppe Pinelli. Costoro compiono crimini. Cospito ha programmato il suo sciopero della fame. Non opera secondo i criteri della convivenza pacifica. Chi crede che la sua battaglia vada sostenuta e rispettata può farlo nell’ambito della legge. Cospito vuole essere un libertario. Se ha deciso di morire è il suo diritto. Fosse anche il suo ultimo diritto. Un’ultima cosa: lei sa chi sono, forse stavolta basta la sigla: non siamo in un Paese dove esprimere liberamente il proprio pensiero...


M.S. Io so chi è lei, gentile e caro amico, e anche per questo rispetto il suo timore, siglando soltanto – proprio come lei desidera – l’interessante riflessione che mi ha fatto avere. Le dico subito, però, che vivo in Italia e, per mestiere e per indole, cerco di continuare a essere un portatore sano di opinioni perché ritengo, e rivendico, che qui si possa e si debba esprimere liberamente un pensiero anche forte, ma mai volgare e offensivo. Sul caso di Alfredo Cospito ho un’opinione sufficientemente netta, in parte e infine diversa dalla sua, e l’ho espressa chiaramente sia in prima persona sia attraverso gli editoriali e gli interventi che ho deciso di pubblicare su “Avvenire”. Quest’uomo, che si proclama anarchico, ha commesso reati gravi e per questi fatti è stato condannato. Il regime carcerario specialmente duro che l’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario stabilisce è – per così dire – un’afflizione aggiuntiva rispetto alla pena che gli è stata inflitta in regolare processo e in forza di legge. Il dibattito in corso – la distinzione è tutt’altro che banale – non è sulla già pesante, e in gran parte ormai certa, condanna che ha ricevuto per gli atti compiuti o tentati, ma sulla fondatezza di questa ulteriore afflizione in genere riservata a criminali potenti e feroci che possono continuare a far male. E la protesta d’infondatezza di Cospito – che anarchicamente si è fatto giudice di sé stesso, dei suoi giudici e dello Stato attuando un drammatico e sterminato sciopero della fame – lo ha gridato in modo autolesionista, emozionante e per molti versi urtante. Ma io so che la legge è legge, sempre e per ognuno, e va rispettata non solo quando è dura... Aspetto perciò, con rispetto, la parola dei magistrati della Corte di Cassazione, che arriverà tra poche ore. Spero che convinca tanti, se non tutti, che in Italia non solo si è liberi, ma si può contare su una giustizia magari lenta, ma solida perché rigorosa e umana. Le due cose non sono in contraddizione. (mt)

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