Una donna porta fiori al memoriale dei caduti di piazza Maida, a Kiev - ANSA
L’invasione russa dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 ha compiuto due anni. Sono passati invece dieci anni dall’invasione e annessione della Crimea nel febbraio 2014. La guerra ha lasciato una scia incommensurabile di vittime, soprattutto civili innocenti, ma anche di soldati morti e gravemente feriti, oltre a grandi fenomeni di sfollamento e rovina economica impressionante.
Che speranze ci sono di trovare una soluzione al conflitto o almeno di dare speranza alla pace? I fatti e gli effetti del conflitto in Ucraina che passeranno agli annali delle tante guerre “inutili” del nostro tempo sono tristemente deplorevoli. Il numero delle vittime civili, dei morti e feriti militari nei due eserciti, degli sfollati interni e dei rifugiati all’estero si sommano agli altri “danni collaterali” in gran parte intenzionali. Le stime della Banca Mondiale suggeriscono che la devastazione dell’economia ucraina è stata imponente. Il Pil dell’Ucraina si è contratto di oltre un terzo (35%) già nel primo anno.
La distruzione delle infrastrutture, l’interruzione della produzione e del commercio e lo sfollamento di massa della popolazione hanno paralizzato l’economia nazionale.
La Kyiv School of Economics stima che il costo totale dei danni infrastrutturali abbia superato i 130 miliardi di dollari alla fine del 2022. Queste stime suggeriscono che gli sforzi di ricostruzione dopo la guerra richiederanno ingenti risorse per diversi decenni. Il conflitto, combinato con le pesanti sanzioni economiche occidentali contro la Russia, ha causato un esplosivo effetto domino su molti altri settori economici a livello internazionale, compresi forti aumenti dei prezzi globali dell’energia e una grave crisi della sicurezza alimentare, soprattutto nei paesi poveri.
Di contro, si è registrato un flusso senza precedenti di aiuti militari occidentali alle forze armate ucraine e grandissime spese di armamento dell’esercito russo, con un totale stimato superiore a 150 miliardi di dollari andati in fumo. I più importanti centri internazionali di studi sui conflitti hanno realizzato ricerche sulle possibili soluzioni del conflitto Russia-Ucraina. Alcuni di essi, tra i quali il Friends Committee della Chiesa Quacchera, la Chatam House e il Woodrow Wilson Centre, pur ricordando che tutte le invasioni in epoche recenti sono finite presto o tardi con il ritiro degli invasori, fanno notare che nessuna delle soluzioni più comuni che si sono viste in altre invasioni armate sembra avere buone probabilità di realizzarsi.
Allo stato attuale delle cose, risulta estremamente improbabile un’affermazione militare di uno dei due contendenti; un congelamento di una divisione del territorio sul modello del “cessate il fuoco senza pace” (come in Corea) avrebbe l’unico risultato di rendere multi-decennale il conflitto. Sono state proposte diverse altre soluzioni che si potrebbero realizzare attraverso un ampio lavoro di negoziati diplomatici. Tra tali proposte sono comprese un nuovo assetto condiviso della sicurezza in Europa, che sostituisca progressivamente quello attuale che vede due blocchi contrapposti, l’ipotesi di un libero referendum nelle zone contese dopo tre anni dal ritorno di tutta la popolazione che vi abitava, con una amministrazione Onu provvisoria, una dichiarazione di neutralità dell’Ucraina, e altre idee simili, come il disarmo e l’autonomia delle zone contese con l’interposizione dei caschi blu delle Nazioni Unite.
La difficoltà più grande sarebbe quella di dare credibilità a questi processi, che richiederebbero comunque un tribunale sui crimini di guerra e un’affidabile rassicurazione russa della rinuncia a una nuova iniziativa militare in caso di nuovi dissensi che potrebbero emergere. Quale buona pratica rimane dunque fattibile per costruire la pace o almeno tenere viva la speranza di accelerarne l’avvento? L’apertura di negoziati ufficiali presso la sede Onu di Ginevra o in un altro Paese terzo offrirebbe spazi concreti alla speranza di pace. Permetterebbe un dialogo su tutti i punti che finora sembrano ostacoli insuperabili e aiuterebbe a identificare tutte le mosse possibili. Inoltre, il valore esemplare di tale pratica a livello internazionale, potrebbe replicarsi anche in altre aree. Anche se forse tali negoziati potrebbero durare anni, sono sempre preferibili allo status quo, in cui parlano solo le armi.
Il dibattito politico, che crescerà nei prossimi mesi, in occasione delle elezioni del Parlamento europeo, del Presidente e del Parlamento degli Stati Uniti e del Parlamento britannico, dovrebbe dare un segnale forte e unanime nel richiedere l’apertura di tale negoziato di pace. In particolare, sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti potrebbero offrire forti incentivi economici e politici per convincere Russia e Ucraina a partecipare al negoziato di pace, cercando ad un tempo il coinvolgimento e l’appoggio della Cina.
Siamo consapevoli che l’orientamento politico che nascerà da queste tre grandi consultazioni democratiche avrà un impatto decisivo sulle risoluzioni che prenderà la Comunità internazionale su questo conflitto ormai decennale, ma riteniamo che non sia più rinviabile l’attivazione coraggiosa di una nuova stagione di cooperazione e dialogo internazionale che promuova una nuova architettura di pace che ponga al suo cuore la scelta della democrazia. In tale direzione come laici credenti, impegnati particolarmente a livello ecclesiale, sentiamo il dovere di svegliare le coscienze, appellarci alle istituzioni e operare quotidianamente per la fraternità e l’amicizia sociale.
Come Francesco, nel suo discorso al Corpo diplomatico dello scorso 8 gennaio, crediamo che «il dialogo dev’essere l’anima della Comunità internazionale»; e «per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori» che hanno originato gli Organismi internazionali «creati per favorire la sicurezza, la pace e la cooperazione». «La guerra è una sconfitta: ogni guerra è una sconfitta!», ha gridato al mondo papa Bergoglio. Lo è per coloro che la combattono, senza trovare altre vie se non quella delle armi, ma è tale anche per tutti coloro che restano a guardare, vi si rassegnano impotenti, facendo poco o nulla per fermarla.
Presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana
Presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto “G. Toniolo” di diritto internazionale della pace